Università, riforma necessaria ma estendiamo la “mobilità” a tutti i prof

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Università, riforma necessaria ma estendiamo la “mobilità” a tutti i prof

03 Aprile 2009

Silvio Berlusconi, nel discorso di chiusura del primo Congresso del Popolo della Libertà, ha affermato, tra l’altro, che anche nelle Università sarà introdotto un "minimo di buon senso"; ed ha chiarito che la "selezione del corpo docente non sarà più una riserva privata per parenti e amici" ed inoltre "grazie alla governance manageriale, con la maggioranza di membri esterni del Consiglio di amministrazione, saranno garantite la terzietà e la responsabilità economica".

Una dichiarazione di metodo, un giudizio sui comportamenti sfoggiati dai professori e una modifica del modello di governo degli atenei: tre punti su cui sviluppare una riforma dell’università italiana.

Si tratta di una innovazione importantissima: l’abolizione dell’autonomia berlingueriana sganciata dalle responsabilità. Si rischia, però, di rimanere impantanati nelle macerie prodotte negli ultimi dieci anni durante i quali nella "riserva privata per parenti e amici", assunzioni e avanzamenti di carriera hanno prodotto dissesti economici in moltissimi atenei. I docenti universitari hanno il posto fisso e pertanto la moltitudine di incompetenti – graziati da un sistema concorsuale fatto apposta per calpestare il merito – affollerà per altri trenta-quaranta anni gli atenei rendendo inutilmente difficile la riqualificazione dell’istruzione universitaria. Si rende pertanto opportuno e necessario modificare lo stato giuridico dei professori universitari estendendo a tutti la "mobilità" oggi applicata solo su base anagrafica.

Da più parti si sottolinea che ci sono troppi vecchi all’università. Si propone di rottamarli per fare largo ai giovani. Questo conflitto generazionale si basa sull’assunto che i giovani sono più attivi sul piano della ricerca scientifica mentre i vecchi sono lenti, pigri e demotivati, insomma, da pensionare. Così, nel giro di un anno, la carriera di professore universitario è stata, per legge, accorciata di cinque anni. La sacralità dei diritti acquisiti è stata infranta.

Sebbene questa rottamazione dell’universitario anziano sia pretestuosa, è bene invece cogliere l’occasione per rendere possibile il prepensionamento a tutto il personale docente, indipendentemente dall’età. Infatti, il reclutamento si compie sulla presunzione che il professore onori la funzione che è chiamato a svolgere. Purtroppo sono numerosissimi i casi di docenti e ricercatori che giungono alla pensione non avendo dato alcun segno della propria attività di ricerca ed altrettanto numerosi sono i casi di docenti avviati alla pensione in piena e significativa produzione scientifica.

La riqualificazione del personale accademico richiede l’estensione della "mobilità verso la quiescenza" a qualunque età allontanando quanto prima chi si rivela sterile sul piano della ricerca. Perché proprio questi inadatti ai doveri dello studioso sono quelli che si tuffano nelle attività organizzative e amministrative sostenendo il principio del "chi sa fare fa e chi non sa fare dirige" e, soprattutto, scarica le proprie frustrazioni complicando la vita dei meritevoli distruggendone, come è avvenuto e avviene quotidianamente, l’ambiente di lavoro.

Visto che è possibile prepensionare gli anziani perché considerati improduttivi, per il bene dell’università rendiamo questo principio applicabile a tutti i professori indipendentemente dalla loro età. Spero che questo principio possa trovare adeguato riscontro nel progetto di riforma che il ministro Mariastella Gelmini si appresta a presentare.