“Urne pulite”: così litigano finiani e berluscones
26 Febbraio 2010
Cosa è succeso veramente mercoledì alla Camera quando è andata ai voti la legge che vieta ai sorvegliati speciali di prendere parte alle campagne elettorali? A leggere la Repubblica o La Stampa, si sarebbe prodotto uno scontro in cui i berlusconiani del Pdl sarebbero rimasti isolati in una posizione equivoca verso mafia, ‘ndrangheta e camorra. Le cose non stanno così e occorre andare oltre l’apparenza per comprendere come si sia consumato sotto traccia uno scontro tra due concezioni della giustizia, del diritto e della stessa democrazia.
La storia inizia alcuni mesi fa, quando scatta una gara tra parlamentari calabresi a prendere le distanze dalla criminalità organizzata e dalle sue capacità di inflitarsi nella vita politica locale e non solo. E’ il momento in cui entrano nel vivo alcune inchieste che toccano la giunta regionale di centrosinistra guidata dal governatore Agazio Loiero, oggi candidato alla sua successione. Il primo disegno di legge è a firma di Sabrina Rossa e Rosa Calipari del Pd ed è del maggio del 2008, così come quello di Angela Napoli del Pdl, nota "pasionaria antimafia" e di recente osservanza finiana, di Angelo Misiti dell’Idv, di Oliverio e altri deputati del Pd e, infine, di Tassone e Occhiuto dell’Udc.
Tutti mirano a marcare la loro distanza dalla criminalità organizzata e temono di essere scavacalcati nell’ansia giustizialista dai loro colleghi, tanto che le proposte di legge – pressoché identiche – nascono nel giro di una settimana.
E cosa dicono di così importante da essere considerate un’arma letale necessaria a recidere i rapporti tra crimine organizzato ed elezioni? Due cose in apparenza pacifiche, ma che – a detta di molti esponenti del Pdl – potrebbero trasformarsi in un boomerang. La prima è il divieto – cinque anni di reclusione – a svolgere campagna elettorale per i mafiosi in libertà e sottoposti alla sorveglianza speciale dopo aver scontato la pena. L’altra, con la stessa pena detentiva, a cui si accompagna la decadenza automatica dalla carica elettiva, riguarda i candidati che avessero richiesto il sostegno di sorvegliati speciali.
Che su questa legge esistessero molte perplessità nella maggioranza e anche nell’opposizione è testimoniato dal dibattito che si era tenuto nelle settimane precedenti nel comitato pareri della commissione Affari Costituzionali chiamata a valutare proprio la costituzionalità della proposta di legge. In quella sede, tutti i gruppi avevano espresso più di un dubbio sui meccanismi automatici di decadenza dalla carica previsti dalla legge in caso di condanna del candidato alle elezioni, sull’incertezza di definire quale comportamento del candidato costituisse il reato di "accettazione" di propaganda elettorale, e come il candidato alle elezioni fosse messo al riparo dall’uso strumentale di dichiarazioni da parte dei sorvegliati speciali; insomma una sorta di "pentiti" elettorali.
Infine, in commissione affari costituzionali tutti i partiti avevano sottolineato il fatto che esiste già oggi la pena di interdizione dai pubblici uffici, pena accessoria che provoca la decadenza dalle cariche elettive.Ciononostante i partiti dell’opposizione e l’ala finiana del Pdl – in particolare Angela Napoli e Fabio Granata, oltre alla presidente della commissione giustizia Giulia Bongiorno – puntavano a una rapida approvazione per "dare un segnale" di contrasto alla criminalità, specie in vista delle elezioni regionali. Tanto che le opposizioni mettevano a disposizione il tempo loro riservato nel calendario dei lavori. Ecco come mai il progetto di legge è entrato nell’ordine del giorno di una settimana parlamentare monopolizzata dal complicato decreto "milleproroghe" il cui esame si è concluso mercoledì pomeriggio.
Ed è nella sera di mercoledì che nell’aula di Montecitorio si consuma il caotico sfilacciamento del gruppo Pdl. Da una parte i deputati finiani decisi ad arrivare all’approvazione immediata, dall’altra molti pidiellini fortemente scettici su un provvedimento che vedevano per la prima volta e che appare come un "pericolo per le libertà", oppure uno "strumento per mettere nelle mani delle cosche liste ed eletti" o ancora una "clava giudiziaria da armeggiare da parte di un Ciancimino qualsiasi".
Tutto questo avviene mentre il governo – che in aula è rappresentato dal sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo – dà un parere favorevole alle nuove norme, specie dopo l’approvazione di una serie di emendamenti che rendono meno incerta e aleatoria la legge. Parere, quello del governo, che spinge la Lega – fino ad allora molto dubbiosa – a un voto favorevole, ma che non placa la preoccupazione della maggioranza del gruppo Pdl. Tanto che molti deputati lasciano l’aula per far mancare il numero legale e altri intervengono per chiedere ulteriori cambiamenti alle norme.
In particolare Giorgio Stracquadanio e Jole Santelli sollevano perplessità sul rischio di leggi che – invece di mettere in difficoltà le organizzazioni mafiose – mettono "nelle loro mani strumenti per minacciare e ricattare candidati a loro avversi, costruendo situzioni false ma verosimili in cui i politici appaiono collusi, mentre sono vittime di calunnie". Una sorta di "pentitismo elettorale" da utilizzare a favore delle cosche. Una posizione che incontra il favore di gran parte del gruppo, in cui "scatta un riflesso liberale e garantista" secondo Francesco Paolo Sisto, che pure si era adoperato attraverso gli emendamenti per rendere più accettabile il testo.
E’ in questa situzione di incertezza che molti deputati preferiscono uscire – saranno settanta alla fine gli assenti – trentacinque si astengono sul voto finale per non lasciare il governo in mano alle opposizioni e ai finiani. Un fatto che lascia indifferenti i sette pasdaran garantisti, tra cui Sergio Pizzolante, uomo di stretta fiducia del capogruppo Cicchitto, i quali votano un secco no.
Insomma, un caos che dà la misura della situzione difficile che sta attraversando il Pdl, "diviso non più solo sulle tattiche ma sulle questuioni di principio", come a tarda sera molti deputati osservano sconsolati mentre lasciano Montecitorio.