Usa 2008. Anche i conservatori danno per favoriti i Democratici. Ma la corsa è ancora aperta

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Usa 2008. Anche i conservatori danno per favoriti i Democratici. Ma la corsa è ancora aperta

05 Febbraio 2008

L’American
Enterprise Institute, storico think tank
che dal 1943 si occupa di promuovere la ricerca e il dibattito in merito a temi
di economia, politica, benessere sociale, istruzione e immigrazione, prosegue
con la propria analisi elettorale, che continuerà sino ad esaminare il voto
negli USA del 4 novembre. Una commissione di esperti, giornalisti ed analisti politici
d’oltreoceano ha commentato il voto di preferenza già espresso nei caucuses dell’Iowa, New Hampshire, Nevada,
Michigan e Carolina del Sud, avanzando anche un breve commento riguardo alla
situazione in Florida ed azzardando alcune previsioni sul Super Duper
Tuesday.

Apre i lavori
Karlyn Bowman, scienziata politica ed editorialista per l’AEI, la quale richiama
l’attenzione degli analisti su quella che definisce “una tendenza preoccupante
per il Partito Repubblicano”: si tratta del fenomeno noto come voter self-identification, ovvero la
capacità e la volontà degli elettori di riconoscersi in un dato movimento
politico. Se negli anni passati i votanti si ritrovavano in ogni schieramento in
egual misura, nel corso del mese di gennaio è stato confermato che sono i
Democratici a credere maggiormente nel proprio partito: un sondaggio Gallup ha
stabilito che il Partito Democratico ha guadagnato fiducia da parte dei propri
elettori con un margine del’11% rispetto al Grand Old Party.

Tuttavia,
prosegue Bowman, non si può ancora dare niente per scontato. I candidati
Repubblicani, in particolare l’ex senatore dell’Arizona John McCain, hanno
saputo mettere in difficoltà sia Barack Obama che Hillary Clinton nei dibattiti
pubblici; ed in generale hanno dimostrato la volontà di contendere ai Democrats la preferenza dei cosiddetti swing voters, gli indecisi che
potrebbero fare la differenza nella campagna elettorale per la Presidenza.

Un’ultima
tendenza su cui la studiosa dell’AEI si è soffermata riguarda quello che il
notissimo giornalista e pundit Chris
Matthews ha definito “the polling nightmare”, ovvero il disastro relativo alle
inesattezze nel conteggio dei voti del New Hampshire -in particolar modo in
campo Democratico. La trascuratezza e superficialità delle interviste
telefoniche, la disparità tra i sondaggi pre-elettorali e gli exit polls, il fatto che i voti
conteggiati manualmente favorissero Obama mentre gli scrutini automatici
accordassero la vittoria a Hillary, nonché la copertura parziale e imprecisa
dei media, non hanno permesso secondo Bowman di tracciare un appropriato quadro
delle predilezioni dei votanti; si tratta indubbiamente di una pessima
prestazione da evitare in occasione dei prossimi caucuses. Per di più, prosegue la studiosa, non si è prestata
sufficiente attenzione al diffuso rifiuto degli elettori di entrambi gli
schieramenti a farsi intervistare, nonché a spiegare le proprie preferenze
politiche: tutto questo, argomenta Bowman, può essere interpretato come sintomo
di un disagio ben più grande nei confronti dell’establishment, che potrebbe sfociare in una bassa affluenza alle
urne in occasione del voto del novembre prossimo; sarebbe inoltre un ulteriore
segno del preoccupante allontanamento della politica dal sentire della gente
comune.

Dall’incapacità di
entrambi i partiti non solo di scegliere un candidato su cui scommettere, bensì
di approvare una linea elettorale comune a tutto lo schieramento in grado di
riscuoter successo tra gli elettori, scaturisce la riflessione di Michael
Barone, analista politico e giornalista per U.S. News & World Report. Lo studioso dell’AEI,
proseguendo la riflessione della collega Bowman riguardo alla mancanza di un
concorrente chiaramente in vantaggio in ognuno dei due partiti, valuta il recente
ritiro da parte Repubblicana del reaganiano Fred Thompson come fattore di
minimo disturbo nella competizione tra i candidati principali del Grand Old
Party. L’elettorato di destra sembra nel complesso preferire McCain, nota
Barone, possibilmente in seguito al rinnovato interesse per temi di ordine e
sicurezza pubblica, anche oltreoceano -e qui lo studioso fa particolare
riferimento all’assassinio di Benazir Bhutto in Pakistan.

Norman J.
Ornstein, scienziato politico ed esperto di politiche pubbliche, vede più che
altro i caucuses come una battaglia da
parte di entrambe i partiti mirata a sperimentare tattiche politiche e a conquistare
delegati; in quest’ottica, né i Democratici né i Repubblicani dimostrano di
aver già scelto definitivamente una linea d’azione. A questo punto i
Repubblicani devono impegnarsi a stabilire una strategia comune: se investire
nella competizione senza esclusione di colpi, per aumentare i propri sostenitori
in quegli stati tradizionalmente misti (come ha fatto Rudy Giuliani in Florida,
seppur con risultati poco apprezzabili); oppure se lavorare alacremente per
piegare gli avversari dove le preferenze sono già forti (la tattica di Mitt
Romney in Michigan).

Per parte Democratica,
prosegue Ornstein, il serrato confronto tra Hillary Clinton e Barack Obama
aumenta la preoccupazione degli elettori verso l’incapacità del partito di
scegliere chiaramente il proprio leader -situazione che potrà durare, agli occhi
dello studioso dell’AEI, sino alla convention
nazionale. A questo punto, potrebbe accadere che colui o colei che verrà
nominato si troverà a dover scegliere l’altro candidato come running mate (e dunque possibile
vicepresidente). Questa strategia potrebbe rivelarsi tuttavia dannosa nella
corsa alla Casa Bianca, poiché eventuali compromessi tra la linea politica di
Clinton e quella di Obama potrebbero causare disaffezione negli elettori sin
dalla campagna elettorale. Clinton si è dedicata a conquistare l’elettorato
ispanico, trascurando i temi importanti per le comunità afroamericane; e seppur
questa strategia potrebbe consentirle di vincere le primarie, sarà difficoltoso
per qualsiasi candidato Democratico conquistare la Presidenza senza l’appoggio
degli afroamericani. Inoltre, sia Clinton che Obama hanno una propria identità
politica, ed è possibile ipotizzare ragionevolmente che in un’Amministrazione
Democratica di coabitazione sorgerebbero disaccordi e dissapori in merito ai piani
di governo da adottare.

John C. Fortier, scienziato
politico ed editorialista, conclude questo secondo appuntamento dell’AEI rimarcando
come l’America del 2008 sembri ad un primo sguardo favorire decisamente i
Democratici; il Partito Repubblicano, secondo lo studioso, ha perso competitività
particolarmente nei confronti dell’elettorato moderato, il quale è spesso
vulnerabile alle promesse della sinistra tecnocratica ed idealista. Fortier
prevede che, in occasione delle elezioni per il Congresso del 2008, il Grand
Old Party soffrirà pesantemente a causa della mancanza di una posizione
Repubblicana moderata in grado di raccogliere ampi consensi nel partito; inoltre,
le volontà di abbandono di carriera per limiti d’età, manifestate da numerosi
personaggi politici che in passato hanno dato corpo e vigore al Partito
Repubblicano, non fanno altro che accentuare il vantaggio dei Democratici nelle
future elezioni per la House
of Representatives. Tuttavia, non è ancora detto se tutto questo si tradurrà
nell’insediamento di un Presidente Democratico alla Casa Bianca. I giochi sono
ancora aperti.