USA 2016: se l’establishment adesso molla la Clinton

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USA 2016: se l’establishment adesso molla la Clinton

01 Novembre 2016

L’Fbi ha finalmente ottenuto il mandato per leggere le email di Hillary Clinton, rinvenute nel laptop dell’ex deputato Anthony Weiner, il protégé di Hillary sotto inchiesta da questa estate per uno scandalo sessuale che coinvolge una minorenne. Dagli articoli del Wall Street Journal, dei media americani e britannici, adesso sappiamo che, prima della lettera al Congresso del 28 ottobre del direttore dell’Fbi James Comey, c’è stato un colossale scontro istituzionale tra la stessa Fbi e il ministro della giustizia Loretta Lynch, contraria all’inchiesta. Comey ha deciso di fare di testa sua e di rivolgersi al Congresso.

Comey, repubblicano, nominato da Obama nel 2013, non è un novellino. In luglio ha chiuso l’indagine sulle email di Hillary, suscitando le ire repubblicane e di Trump. Comey è navigato: nel 2002, come procuratore federale, ha indagato Bill Clinton, allora presidente, per un controverso perdono a Marc Rich accusato di fare affari con l’Iran nel 1979. Anche allora chiuse il caso con fair play, e Bill ammise poi che il perdono era stato “terribilmente politico”. Comey non è quindi un uomo anti-establishment; né è intervenuto per tirare la volata a Trump. Non ha fini di carriera: ha un incarico decennale e chiunque venga eletto rimarrà al suo posto.

Comey è prudente, ma ha un proprio codice etico. Dipende soltanto dal ministro della giustizia Loretta Lynch, e da Obama, e ha sempre detto che se al presidente non piacciono le sue idee, può licenziarlo. Il numero uno della Fbi dimostrò indipendenza, quando nel 2014, come riportano i media britannici, parlò di “effetto Ferguson”  dopo le rivolte afroamericane in seguito all’uccisione del nero Michael Brown. Obama gettò benzina sul fuoco, dichiarando che ogni ragazzo afroamericano ucciso dalla polizia poteva essere suo figlio o lui stesso teen-ager.

La Fbi è come il MI5 britannico, o il Fsb russo, l’intelligence interna: si occupa del controspionaggio, della lotta al crimine e dei casi di omicidio più delicati e difficili. E’ chiacchierata e discussa, come il fondatore Hoover, ma è un pilastro degli USA. Per questo Loretta Lynch (e Obama) alla fine hanno concesso il mandato. La nuova indagine Fbi sulle email di Hillary è legata, come dicevamo, a quella sui dispositivi di Anthony Weiner, il marito fino a settembre di Huma Abedin, da anni super-assistente di Hillary, vice direttore della campagna elettorale, destinata a un posto di rilievo alla Casa Bianca  in caso di vittoria.

I media raccontano di Huma Abedin, musulmana, fan dei Fratelli Musulmani, e del matrimonio benedetto dai Clinton con l’ebreo Weiner, deputato al Congresso, poi candidato a sindaco di New York, travolto dallo scandalo, dai quali i Clinton in questi anni non hanno mai preso le distanze. Se pensiamo alla campagna di Hillary contro il linguacciuto Trump per due chiacchiere fatte dal Don con Billy Bush, nipote di Bush Sr, e alla battuta sulla “pussy” a cui è stato inchiodato il candidato repubblicano, mentre non è mai stata spesa una parola contro Antony Weiner, si comprende perché circolano ipotesi di ogni genere sui Clinton, persino storiacce di viaggi col magnate Epstein sul “Lolita Express”.

Il sesso non c’entra, però, in questo caso, il Clintongate, al cui confronto il Watergate (Nixon che spiava gli avversari) sembra una bagatella. Il Clintongate è molto peggio del Watergate, perché, almeno a quanto ha rivelato finora Wikileaks, coinvolge il segretario di Stato di Obama. Si può dire allora che lo scontro politico, a questo punto, si sta spostando nel cuore dell’establishment americano. Le rivelazioni di Wikileaks hanno preoccupato l’establishment e per questo il Wall Street Journal, proprietà di Murdoch (il cui avversario è l’Economist di Lady Lynn Rothschild, una dei grandi finanziatori di Hillary), il 27 ottobre, cioè il giorno prima della lettera di Comey al Congresso, abbia attaccato frontalmente la Fondazione dei Clinton. E’ in gioco il destino degli Stati Uniti.

Con Obama e Hillary, gli USA non solo hanno perso il Medio Oriente e l’Africa, finanziando dovunque islamisti e jihadisti, portando caos e ondate di profughi in Europa, ma stanno perdendo anche l’Asia. Di certo l’establishment non vuole un presidente che fa considerazioni off the record  su Xi Jinping, sul mare della Cina meridionale, sugli alleati europei, o su come fare implodere la Chiesa cattolica per aprirla ai gay e addirittura le digita in report su laptop privi di sicurezza. Il 27 ottobre, con un articolo intitolato Grifters-in-Chiefs, il WSJ ha dichiarato di confidare che gli elettori capiscano che una presidenza Clinton sarebbe costruita sulla corruzione e sull’illegalità cronica. Sono seguite valutazioni corrosive sulla Fondazione Clinton per le collusioni tra politica, finanza (Goldman Sachs e Rothschild) e business.

Una presidenza Clinton sarebbe la continuazione di quella di Obama, che ha messo in squadra gente come Samantha Power, una fan delle Primavere arabe, della Guerra contro la Libia e contro la Siria di Assad. Dopo i rovinosi fallimenti della coppia Obama-Clinton, chiunque sarà il nuovo presidente degli Usa, dovrà somigliare più a Kissinger che ai suoi predecessori, come ha scritto Niall Ferguson sul “Boston Globe”. Kissinger non ama né Obama, né Hillary, si rende conto di  come il Medio Oriente euro-americano si stia disintegrando, e osserva: “Un accordo con Vladimir Putin può essere compatibile con i nostri obiettivi: la distruzione dello Stato Islamico è più urgente della cacciata di Assad”. Per questo, forse, il cuore dell’establishment americano adesso spera che Hillary rimanga nella sua bella casa di Chappaqua.