Usa, democratici duri con Teheran ma divisi su Baghdad
16 Marzo 2007
Il partito democratico statunitense conferma la linea dura nei confronti del regime di Teheran ma continua a spaccarsi sulla situazione irachena, diviso com’è tra l’ala moderata e quella radical-pacifista.
È di pochissimi giorni fa la proposta del Congresso democratico, di una risoluzione che prevede dure iniziative contro Teheran, con sanzioni che vanno ben oltre le richieste di Bush all’ONU. La risoluzione, presentata dal presidente della Commissione Esteri alla Camera, Lantos, mira a ridurre le disponibilità economiche di cui l’Iran potrebbe disporre per finanziare attività terroristiche contro truppe americane in Iraq e per proseguire nel programma di arricchimento dell’uranio. Le leggi precedenti prevedevano una certa flessibilità dell’amministrazione Bush nel decidere di sanzionare società straniere che sottoscrivevano contratti petroliferi con Teheran. La risoluzione Lantos ripristina quelle restrizioni alle esportazioni iraniane (tappeti, pistacchi, caviale) che nel 2000 erano state eliminate da Clinton allo scopo di promuovere un dialogo con l’allora regime presunto riformatore islamico e prevede dure sanzioni per le società petrolifere straniere che dovessero giungere ad accordi con Teheran.
La risolutezza nei confronti del regime degli ayatollah da parte dei liberal americani è stata confermata dalla decisione di questa settimana di ritirare, dalla risoluzione sull’Iran, il paragrafo con cui, in un primo momento, avrebbero voluto imporre a Bush di recarsi al Congresso e chiedere una specifica autorizzazione nel caso volesse avviare un’azione militare contro Teheran. In questo modo, il presidente americano potrebbe decidere di attaccare i siti nucleari iraniani sulla base delle autorizzazioni già ricevute precedentemente dal Congresso. La linea democratica, quindi, sembrerebbe confermare l’interpretazione data da Bush al ricorso ai poteri di guerra. A riprova di tale intransigenza, il candidato democratico alla Casa Bianca per le presidenziali del 2008 ha affermato: “L’Iran è una minaccia per tutti noi; il mondo deve lavorare per fermare il programma di arricchimento dell’uranio e impedire all’Iran di acquisire armi nucleari, perché una teocrazia radicale con armi nucleari è troppo pericolosa.”
La concordia nei confronti del regime di Ahmadinejad non trova conferma in campo iracheno. La risoluzione proposta dalla speaker Pelosi concede alla Casa Bianca 20 miliardi di dollari per la nuova strategia che prevede l’invio di altri 26.200 nuovi soldati, smentendo così le ipotesi circolate nei mesi scorsi secondo cui il nuovo Congresso a maggioranza democratica uscito dalle elezioni di mid-term avrebbe tagliato i finanziamenti alla missione irachena. Tuttavia, l’ala radical-pacifista, convinta di aver avuto dalle elezioni il mandato per bloccare la strategia bushiana, ha ottenuto ch la risoluzione prevedesse il ritiro dei soldati dall’Iraq entro l’autunno del 2008. La Casa Bianca aveva già minacciato di imporre il veto, ma probabilmente la risoluzione incontrerà ostacoli già durante il passaggio al Senato, dove i democratici non sembrano avere i voti necessari a sostenere il compromesso. Anche la stampa non certamente vicina a Bush, ha accusato la strategia democratica di non essere utile né a intercettare voti né tanto meno a migliorare le sorti del popolo iracheno. L’invio di nuovi soldati e i conseguenti nuovi finanziamenti alla missione militare, secondo quanto affermato dal vice capo di Stato maggiore Kean, considerato con il generale Petraeus la mente della nuova strategia americana, potrebbero portare a concreti risultati solo se protratti per un anno, un anno e mezzo: “C’è da proteggere la gente abbastanza a lungo per far arrivare l’assistenza economica, per cambiare il loro atteggiamento e il loro comportamento. Tutto questo non può essere fatto nel giro di qualche settimana. Ci vogliono mesi. Il problema di aumentare le truppe per poco tempo è che il nemico può aspettare.”
E i primi risultati della rinnovata strategia americana in Iraq non hanno tardato a mostrarsi; la popolazione sembra aver ritrovato un po’ di ottimismo, come Robert Kagan riporta nella sua analisi apparsa ieri sul Corriere della sera: negozi e mercati a Baghdad hanno riaperto; le informazioni sui ribelli fornite dai civili iracheni si sono moltiplicate; ribelli e terroristi si sono visti scombinare i propri piani, convinti che presto vi sarebbe stato un ammainamento della bandiera a stelle e strisce. E le truppe americane hanno riconquistato le autostrade intorno alla capitale.