Usa e Cina sono separati in casa ma il matrimonio di convenienza regge

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Usa e Cina sono separati in casa ma il matrimonio di convenienza regge

18 Gennaio 2011

Nel 2009 Zachary Karabell dava alle stampe il fortunato “Superfusion”, saggio  che teorizzava come ormai i destini del mondo dipendessero dal rapporto tra Stati Uniti e Cina perché i loro sistemi economici erano indissolubilmente interconnessi. L’autore  aveva ragione. O quanto meno così pensano le centinaia di analisti e giornalisti che da settimane non fanno che parlare del G2. Ormai è chiaro a tutti che i due giganti, nel bene e nel male, condizioneranno il mondo nel XXI secolo.

Nel tanto reclamizzato vertice che si terrà negli Stati Uniti Hu Jintao e Barack Obama si confronteranno su i principali dossier economici e politici a quarant’anni dal varo della “diplomazia del ping pong” con cui Richard Nixon ed Henry Kissinger riportavano la Repubblica popolare nella diplomazia internazionale in funzione antisovietica. Le cose, però, sono molto cambiate. La Cina non è più un paese di milioni di contadini in fuga dalla povertà. L’impetuosa crescita economica e la sua crescente proiezione globale ha portato gli eredi di Mao a dover condividere con la superpotenza americana il peso e l’onore di guidare il nuovo ordine mondiale. I due paesi nutrono una profonda diffidenza reciproca, sono in contrasto su temi importanti, ideali e strategici, ma non hanno alternativa.

Devono collaborare perché i loro interessi, almeno a breve termine coincidono. Il “target” comune è impedire che la crisi economica paralizzi l’economia globale scatenando conflitti commerciali e militari. Gli Stati Uniti devono riprendere a creare posti di lavoro, la Cina ha necessità di continuare a crescere ai ritmi sostenuti dell’ultimo ventennio per non compromettere la stabilità sociale e la legittimazione del regime. Allo stesso tempo deve evitare tensioni inflazionistiche. Se Pechino sì è data così da fare per sostenere le zoppicanti economie di Grecia, Spagna e Portogallo è perché vuole evitare che capitali in fuga dal Vecchio continente si dirigano verso oriente facendo scoppiare bolle speculative.   

La Cina ha foraggiato per anni il deficit americano con l’acquisto di titoli del Tesoro americani (Pechino è il primo detentore di “Treasury bond”, seguito dal Giappone), pagati con gli attivi commerciali accumulati in anni di commercio bilaterale. Prima della crisi, il risparmio cinese permetteva agli americani di consumare a credito acquistando prodotti che arrivavano dall’altra parte del Pacifico. Così facendo gli Stati Uniti sono finiti sotto il “ricatto” dei creditori cinesi. Nel contempo, l’enorme debito, qualora non restituito, peserebbe sull’economia cinese con conseguente rischio per la stabilità sociale, in cima alle preoccupazione dei dirigenti cinese. Ora il meccanismo va riparato. Più consumi in Cina e minore debito americano. La priorità per Obama e Hu è che il sistema riparta.

Serve un accordo che permetta all’economia Usa di tirarsi fuori dalla recessione convincendo i cinesi ad acquistare ancora obbligazioni del Tesoro americano mentre Washington deve tenere aperto il mercato ai beni e servizi provenienti dall’Asia, senza cadere nelle tentazioni protezionistiche. E’ quindi la globalizzazione che condanna i due paesi ad interagire. Senza un accordo stretto tra i due paesi l’economia del mondo non può ripartire, senza contare il rischio di medio e lungo termine di una rotta di collisione tra la maggiore potenza attuale, gli Usa, e la maggiore emergente, la Cina. Contrasti, che nell’ultimo anno si sono registrati soprattutto sulla rivalutazione della moneta cinese. E’ vitale trovare un accordo sul valore dello yuan e le esportazioni cinesi. Nel breve periodo  il livello di cambio tra il la “moneta del popolo” e il dollaro è, come detto, positivo per entrambi i Paesi.

Al tempo stesso l’America deve limitare le importazioni mentre la Cina limitare l’export. A medio e lungo termine, invece, bisogna capire se questo ordine economico mondiale basato sulla centralità del dollaro sia possibile da mantenere e a quali condizioni. In realtà la Cina non è vuole mutare l’ordine basato sul biglietto verde. E’ il sistema che le ha consentito di crescere così in fretta negli ultimi due decenni. Perché dovrebbe cambiarlo, cercando un ordine diverso che presenta molti rischi e incertezze, e di sicuro comporterebbe per Pechino maggiori responsabilità e costi più elevati? D’altro canto la centralità assoluta del dollaro pare non sostenibile, la fragilità dell’euro attuale mette a rischio l’Europa, che nel complesso è la maggiore potenza economica mondiale. Un crollo dell’area dell’euro significa un crollo economico mondiale. La Cina è quindi interessata a salvare e sostenere la moneta europea e ad incoraggiare l’unificazione europea, che funzionerebbe da contrappeso anche politico per gli Stati Uniti, ma non a rivoluzionare il contesto attuale politico ed economico minando la stabilità del dollaro. 

Durante il vertice tra Obama e Hu sarà dato grande rilievo a questioni diplomatiche, si parlerà soprattutto della Corea del Nord.  Pechino e Washington sono d’accordo.  Evitare che le convulsioni del regime comunista del malmesso Kim Jong Il  destabilizzino la regione. La convergenza sul problema  Pyongyang rischia però di rimanere un eccezione. Gli Stati Uniti temono l’espansionismo cinese in Asia. Per tale motivo la Casa Bianca punta ad un asse con l’India per porre un argine alla baldanza dei cinesi nel continente.  Durante il recente tour asiatico Obama si è recato oltre che in  India, anche Giappone, Corea del Sud ed Indonesia. Ha visitato quelle che lui stesso ha definito le nazioni che “indicano la via asiatica alla democrazia”. La Cina non è stata nominata in nessun discorso ufficiale. 

L’”ex impero di mezzo” non è  percepito (non ancora) a tutti gli effetti come un concorrente ma come un partner con cui condividere problemi come il nucleare iraniano e la guerra in Afghanistan, la lotta al terrorismo. D’altro canto l’influenza politico-economica della Cina è sempre più marcata nell’Oceano Pacifico, la regione del mondo economicamente più dinamica, dove sono concentrati rilevantissimi interessi americani. La Cina è ancora lontana dal possedere una flotta navale in grado di confrontarsi con quella degli Stati Uniti, tuttavia è in atto un ammodernamento della Forze Armate cinesi. 

L’esercito del popolo ha recentemente testato il primo caccia bombardiere “invisibile” e lo ha fatto, provocatoriamente, in coincidenza con una visita a Pechino del segretario alla Difesa Robert Gates. Tuttavia la distanza tecnologica con gli Stati Uniti in campo militare resta considerevole. Quello del gap tecnologico è un discorso più generale e fondamentale nella relazione tra i due Paesi. Proprio per questo motivo la Cina ha ben chiaro l’importanza di un rapporto speciale con gli americani. L’industria a stelle e strisce  ha il quasi monopolio delle maggiori tecnologie che servono a innovare modernizzare quella cinese. Senza di esse la Cina rischia di non poter proseguire nel suo spettacolare cammino di sviluppo.

Pechino dovrà costruire un rapporto di fiducia con l’America fondato su scelte responsabili riguardo le questioni strategiche per avvalersi delle superiori tecnologie americane. Il regime sta lavorando proprio a questo. Dimostrare che la sua ascesa è pacifica, che non turba l’ordine mondiale che ha come pilastro gli Stati Uniti. La Cina non ha fretta perché ha imparato la lezione di Deng Xiaoping che nel discorso con cui apriva il suo Paese all’economia di mercato dando il via al “miracolo cinese” che oggi viviamo disse: ‎"Mentre stai costruendo la tua forza, tieni un basso profilo e nascondi gli artigli".