Usa: firmata legge privacy, Obama tira le orecchie al “Grande orecchio” americano
25 Febbraio 2016
di redazione
Con il ‘Judicial Redress Act’, che garantisce la privacy anche dei cittadini dei Paesi alleati, il presidente Obama ha firmato quella che dovrebbe essere la archiviazione definitiva dello scandalo delle intercettazioni della National security Agency.
Il caso esplose nel 2013, grazie alla ‘talpa’ Edward Snowden, un’ex analista di Nsa e Cia scappato in Russia. E Wikileaks è stato uno dei più gravi colpi d’immagine per l’Amministrazione Obama. Il caso aveva fatto infuriare le cancellerie di mezzo mondo: gli 007 dello spionaggio elettronico, infatti, non solo avevano monitorato tutti i ‘metadati’ (comprese le telefonate) dei cittadini statunitensi, ma avevano anche spiato almeno 35 leader mondiali, da Francois Hollande ad Angela Merkel, da Ehud Olmert a Berlusconi, insieme ai vertici di diverse organizzazioni internazionali, tra cui Ban Ki-moon, il numero uno dell’Onu.
A giugno scorso Obama aveva già firmato il “Freedom Act”: la legge sostituisce il controverso Patriot Act, voluto da Bush dopo i fatti dell’11 settembre. Con le nuove misure le compagnie telefoniche continueranno a raccogliere i metadati ma non saranno affidati alle agenzie governative a meno che non sia stata avanzata una esplicita richiesta del governo, autorizzata dal tribunale.
Il ‘Judicial Redress Act‘, firmato mercoledì dall’inquilino della Casa Bianca, estende la protezione della privacy "non solo ai cittadini americani ma anche a quelli stranieri" dei Paesi alleati, che potranno fare causa al governo degli Stati Uniti se i loro dati saranno svelati in modo illegale. La legge, che aveva avuto un largo sostegno bipartisan al Congresso, vorrebbe ricostruire la fiducia tra gli alleati europei.
Obama ha definito la legge, che protegge i dati dei cittadini, una misura chiave per tutelare i dati dei consumatori. Per il presidente, che ha firmato anche un’altra legge per vietare la tasse sull’accesso internet, si tratta di un "altro passo" nell’epoca dell’informazione per "garantire che anche se proteggiamo la sicurezza del popolo americano, siamo pure consapevoli della privacy che amiamo così tanto".
Il caso diplomatico tra Italia e Stati Uniti, scoppiato dopo le ultime rivelazioni di Wikileaks, sullo spionaggio americano ai danni di Silvio Berlusconi quando era capo del governo nel 2011, poco prima delle sue dimissioni, vorrebbe, anche per via di questa legge, già essere acqua passata per la diplomazia americana.
Ma per L’Italia non è così. Pescando a caso tra le varie dichiarazioni dei politici nostrani c’è quella del capogruppo di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale Rampelli: "Siamo sorpresi dalla risposta degli americani i cui rapporti di solida amicizia avrebbero dovuto prevedere almeno delle scuse formali. Spiare alleati, spiare tutti, sarà pure attività di routine per gli States ma non può essere certo di routine per l’Italia accettare che venga intercettato il capo del suo governo. La traduzione di quanto accaduto è che la nostra democrazia è sotto continua minaccia. Ricordo che poche settimane prima delle dimissioni, forzate, di Berlusconi ci fu la presenza di ispettori europei e della Bce nella commissione Bilancio del Senato, impegnata a varare la manovra mentre il presidente Napolitano brigava a sua volta per imporre Mario Monti, con la compiacenza della Francia e della Germania. Ci fu una morsa a tenaglia, con tanto di impennata indotta dello spread dalle banche tedesche per realizzare un ‘golpe bianco’ ai danni della nostra comunità. Tra tante commissioni d’inchiesta dunque nessuna è più necessaria di quella che dovrà accertare se l’Italia può ancora ritenersi una nazione sovrana e indipendente".