Usa-Iran, se i “pasdaran” non capiscono che è l’ora di rientrare nei ranghi

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Usa-Iran, se i “pasdaran” non capiscono che è l’ora di rientrare nei ranghi

09 Ottobre 2017

La partita a scacchi tra Washington e Teheran continua inesorabile e il presidente Trump, con la minaccia per ora solo ventilata di archiviare l’accordo obamiano sul nucleare e di rimettere le sanzioni contro l’Iran, fino adesso almeno un risultato l’ha ottenuto: incunearsi nel blocco di potere dei mullah e inasprirne le divisioni interne. Da una parte le Guardie della Rivoluzione, i “pasdaran” che portarono al potere il predecessore del presidente Rohani, l’integralista Ahmadinejad, e che fanno capo alla guida suprema della Rivoluzione khomeinista, Khamenei (centomila uomini più altre centinaia di migliaia di militanti delle milizie Basij e le forze speciali “Al Qods”). Dall’altra il blocco più dialogante che fa capo a Rohani e al ministro degli esteri Zarif, anche se nella dinamica del potere iraniano dietro la parola ‘moderazione’ si nasconde spesso solo un modo più astuto di perseguire i propri obiettivi di potenza.

Così ai toni durissimi di Jafari, il capo militare dei pasdaran, “se Washington ci inserisce nella lista delle organizzazioni terroriste tratteremo gli americani in Medio oriente come l’Isis”, si sovrappongono quelle più concilianti usate ieri dal ministro Zarif in un’intervista a “Newsweek”. Teheran sta lanciando test missilistici per migliorare le sue capacità militari e non per sviluppare eventuali armi nucleari, “Stiamo testando i missili perché vogliamo migliorare la loro precisione, se un missile è progettato per le armi nucleari, non ha bisogno di precisione”, ha spiegato Zarif. Il doppio registro iraniano complica le cose e ancora non è chiaro che succederà tra qualche giorno, quale sarà la decisione di Trump rispetto all’accordo sul nucleare, e come la prenderanno gli altri membri permanenti del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite oltre alla Germania.

I pasdaran minacciano: se Trump dovesse far saltare l’accordo obamiano, l’Iran “rafforzerà il suo programma missilistico così come i piani di difesa regionali e convenzionali”, ha detto Jafari. Lo scorso agosto, Trump aveva già dato una mezza spallata alla politica estera obamiana verso l’Iran, promulgando una legge che prevede appunto nuove sanzioni contro il programma bellico iraniano, essenzialmente quello missilistico. Trump fino adesso ha mostrato un volto meno dialogante del suo predecessore con Teheran, anche se alle orecchie della guida suprema Khamenei e dei circoli ultraconservatori di Teheran non sarà sfuggita l’altra mossa che il Don ha fatto in queste ore, parlando di Israele, e annunciando che l’ambasciata americana per adesso non verrà spostata a Gerusalemme. “Prenderemo una decisione in un futuro non molto lontano”, ha detto Donald. Se insomma non è ancora detta l’ultima parola con Teheran, se uno straccio di equilibrio è ancora possibile e la situazione non è destinata per forza a precipitare, i pasdaran e le guardie della rivoluzione iraniana farebbero meglio a rientrare nei ranghi.

Gli Usa hanno ancora l’influenza necessaria a far pendere il piatto della bilancia totalmente a sfavore di Teheran. E il fatto che nello Yemen le milizie Houthy inneggianti alla distruzione di Israele e che cantano “morte all’America, morte agli ebrei, l’Islam vincerà”, si siano lasciate dietro una scia di sangue che sembra condurre proprio ai pretoriani della guardia rivoluzionaria iraniana – per fare un esempio – non fa ben sperare sul futuro prossimo.