Usa-Italia: il “partito di Amanda” manda in cortocircuito il processo penale

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Usa-Italia: il “partito di Amanda” manda in cortocircuito il processo penale

23 Ottobre 2008

Una richiesta d’intervento al Csm perché difenda i magistrati dalle “pressioni mediatiche d’oltreoceano”. E’ questo solo l’ultimo capitolo della saga che vede contrapposti gli inquirenti perugini ai media americani e non solo. La lettera porta la firma del presidente del Tribunale di Perugia, Mario Villani, si scaglia contro le ricostruzioni effettuate in particolare dal New York Times, punta l’indice contro le indebite intromissioni del cosiddetto “partito di Amanda” nell’inchiesta sul più intricato delitto degli ultimi anni, il delitto di Perugia, l’omicidio di Meredith Kercher. Nelle stesse ore un’altra missiva, inviata stavolta da un giornalista americano, sollecita i giudici della Prima Commissione di palazzo dei Marescialli a valutare il comportamento del pubblico ministero che segue le indagini, Giuliano Mignini, accusato dal reporter di aver usato nei suoi confronti espressioni “sconvenienti”.

Due flash, due spunti che lasciano intravedere il clima pesante che si respira attorno al processo per l’omicidio della studentessa inglese, per il quale sono imputati l’ivoriano Rudy Hermann Guede, lo studente di Giovinazzo Raffaele Sollecito e l’americana di Seattle Amanda Knox. Un clima talmente pesante da aver indotto il pm Mignini a dedicare addirittura una parte della sua requisitoria alla denuncia delle presunte intromissioni americane. Quasi una sindrome da accerchiamento, se è vero che anche nei confronti della stampa e della televisione italiana più volte sono partiti strali da parte della Procura, non ultimo con il sequestro di un servizio mandato in onda da Studio Aperto contenente alcuni stralci audio dell’ultima udienza del processo.

Ma al di là dei media italiani, è più che altro con “il gruppo di Seattle” che il braccio di ferro, senza esclusione di colpi, va avanti da settimane. Trasformando un normale processo penale in un corto circuito mediatico globale nel quale la stessa pubblica accusa non lesina risposte attraverso gli organi d’informazione.

All’origine di tutto, la discesa in campo – anche questa solo mediatica, più che processuale – di un noto avvocato americano, tanto conosciuto quanto discusso: quel celebre Joe Tacopina che già nel febbraio scorso aveva attaccato la conduzione delle indagini nei confronti della Knox. Si tratta dello stesso avvocato che doveva discutere l’acquisto della Roma dalla famiglia Sensi per conto del finanziere Soros, affare poi sfumato o forme mai neppure esistito. E’ davanti alle telecamere che Tacopina dichiara di non aver letto gli atti del processo ma di essersi fatto lo stesso un’idea precisa del caso per averlo seguito per conto di un network americano: “Il Dna di Meredith sul coltello trovato a casa di Sollecito e indicato dagli investigatori italiani come arma del delitto è appena del venti per cento – spiega – e non si tratta di sangue”.

E’ il primo attacco contro il lavoro della polizia scientifica italiana, un filone che in seguito verrà poi sposato anche da altri in seno al partito degli “Amanda’s friends”. E siamo al 30 settembre. Dalle colonne del prestigioso New York Times un articolo durissimo prende di mira di nuovo il lavoro della scientifica: “Details Only Add to Puzzle in Umbrian Murder Case”. Non c’è movente, non c’è certezza sull’arma del delitto, non c’è orario preciso della morte di Meredith, scrive il corrispondente, solo indizi. Non solo, si criticano anche le continue fughe di notizie dall’inchiesta, ciò che agli occhi del pubblico americano può apparire sconcertante.

Non è finita qui, perché durante l’ultima udienza della fase preliminare altri due attacchi violentissimi piovono da oltreoceano. E’ il 18 ottobre, il giudice dello stato di Washington Michael J. Heavey, vicino di casa della famiglia Knox,  padre di una compagna di classe di Amanda, si rivolge direttamente al pm per perorare la causa della ragazza, spiegando che Amanda non può aver fatto le cose di cui viene accusata. Basta conoscerla, annota il magistrato, per rendersene conto. Quello stesso giorno Mignini in udienza denuncia gli attacchi mediatici, mentre già il network Nbc prepara una nuova bordata: un video in cui si mostra la trascuratezza degli investigatori della scientifica durante il sopralluogo nella villetta di via della Pergola. I punti in esame sono molti: una poliziotta sfonda la porta con un calcio, un’altra raccoglie materiale organico dal muro della stanza in maniera avventurosa, un terzo agente scuote alla meglio il piumone su cui vi sarebbero tracce importanti da repertare. A reggere le fila della controinchiesta un altro avvocato, Ann Bremmer, consulente legale del network. La Mobile di Perugia ribatte punto su punto: il video fa riferimento a un altro sopralluogo, quello nell’appartamento al piano di sotto, dove viveva il fidanzato di Meredith, Giacomo Silenzi, in quei giorni fuori Perugia.

“Penso che la diffusione del diario sia una prova evidente della mala fede dell’accusa”, commentano altri del partito di Amanda. La considerazione finale è semplice, la ragazza non avrà un processo equo a Perugia.

E siamo al Csm, alla richiesta di tutela da parte dei magistrati. A breve dovrebbe arrivare un esposto di Ann Bremmer, mentre già è arrivata una lettera di un gruppo di studenti e professori di Seattle, i quali si augurano che il processo si svolga nel rispetto dei  diritti degli imputati e che l’attenzione dei media non  influenzi i giudici. Replica il vicepresidente, Nicola Mancino: “Il Csm non può interferire nei processi, ma certo il giudice deciderà sulla base delle prove e non delle suggestioni mediatiche”.

Una risposta che vale tanto per gli americani, evidentemente impressionati dalla complessità della procedura penale italiana, quanto per gli inquirenti perugini, che denunciano le pressioni della stampa Usa e italiana. Il giudice deciderà sulla base delle prove, non certo sui titoli di giornale e di telegiornale. Che siano favorevoli o meno alla pubblica accusa.