Usa, le candidature del 2008 si assegnano al fotofinish
31 Luglio 2007
Gingrich contro Gore nel 2008. Gore? Gingrich? Ma se non sono nemmeno
candidati! Solo che le possibilità che ciò succeda (cioè che possano candidarsi, ndt) non sono tanto inconsistenti come
potrebbe sembrare! Questo
ciclo elettorale può creare significative chances – le prime che si ricordino
nella storia moderna – di ritardare le nomine presidenziali per entrambi i
partiti fino alle convention della prossima estate. Se si tratterà di convention aperte a tutti,
i delegati potrebbero anche
decidere nomination alternative.
Le elezioni presidenziali del 2008 sono le prime in ottanta anni di storia
senza un presidente o un vice-presidente che sia candidato. Sono anche le
elezioni che hanno visto la campagna elettorale più veloce della storia per i
candidati di punta – la maggioranza dei quali era già in corsa per gennaio. Si è trattato oltretutto dell’agenda politica
più fitta di sempre: circa due-terzi dei delegati saranno selezionati tra
il meeting dell’Iowa del 14 gennaio e le primarie del 5 febbraio.
La saggezza “convenzionale” suggerisce che questa
agenda del “tutto e subito” aiuti un candidato di punta a racimolare
una nomination prima del tempo. Potrebbe anche essere. Un candidato potrebbe,
ad esempio, diventare famoso e vincere nell’Iowa, nel Nevada e nel New Hampshire,
sviluppando un momentum di popolarità personale virtualmente inarrestabile.
Oppure, lo stesso candidato potrebbe assicurarsi un vantaggio finanziario e
dominare nelle pubblicità in Tv fino al “Super-Mega martedì”, il 5 febbraio.
Però
potrebbe anche andare tutto nella direzione diametralmente opposta. Perché? Una
delle ragioni è il grande numero di candidati, molti dei quali ben finanziati,
altri attraenti per questioni di popolarità o per questioni geografiche o,
ancora, di tipo etnico. Questo renderebbe meno facile l’eventualità in cui un
candidato possa vincere tutti i primi rally o le primarie.
Per
esempio, l’eredità latina del
democratico Bill Richardson e la sua origine sud-occidentale potrebbero
assicurargli una certa presa in Nevada, tale da rallentare il momento buono di
qualsiasi vincitore dell’Iowa. Dal punto di vista repubblicano, Mit Romney ha
già una forza considerevole nell’Iowa; lo stesso John McCain, anche dopo il suo malore, rimane forte nel New Hampshire; Fred Thompson è popolare nel Sud
Carolina; Rudy Giuliani è il favorito in Florida. Tutti questi candidati
potrebbero avere i soldi sufficienti a sopravvivere durante le prime settimane
della campagna elettorale.
Se nessun candidato dominante emergerà dall’Iowa, dal Nevada o dal New
Hampshire, allora i testa a testa del 5 febbraio, che saranno più di ventidue – con le
primarie e i meeting che si terranno dalla California al Delaware – saranno
destinati ad accentuare le divisioni più che consacrare un vincitore.
Ciò che potrebbe causare il maggior sconvolgimento, tuttavia, sono gli
eventuali cambiamenti nelle regole di selezione dei delegati di partito.
Durante le scorse decadi, alcuni grandi stati, in cui le primarie sono
organizzate secondo il metodo “il vincitore prende tutto” (con il metodo winner-take-all, il
candidato che prende il maggior numero di voti in un meeting o alle
primarie, conquista anche tutti i delegati dello stesso stato alla
convention nazionale ndt) hanno dato spinte
formidabili ai politici di primo piano .
Ora però i
democratici hanno abbandonato il metodo winner-take-all alle primarie in tutto
il paese, mentre i repubblicani se ne servono solo in qualche caso. Alcuni
stati, come la California, hanno utilizzato lo stesso metodo a seconda dei
distretti del congresso, il che rende difficile per un candidato “catturare”
tutti i delegati. La California era
considerata un grosso premio, il tipo di premio che poteva trasformare un
candidato in un serio contendente, ma ora i delegati di questo stato, 411
democratici e 172 repubblicani, potrebbero essere “affettati e divisi” tra
quattro o cinque candidati.
Ecco quindi uno scenario possibile per ogni partito, o per tutti e due: una
manciata di candidati che si scambiano le vittorie nello Iowa, nel New
Hampshire, nel Sud Carolina e nella Florida in vista del Super-Mega martedì. Quando la nebbia di diraderà il 6 febbraio,
tre o quattro candidati avranno l’appoggio del 10-20% dei delegati
scelti. Rimarrebbe soltanto un terzo dei delegati con ancora qualcosa da racimolare. In tal caso,
nessuno si guadagnerà la mano buona per aprile. Stando così le cose, avrebbero tutti un motivo per
temporeggiare e vedere cosa succederà durante le varie convention.
Ci pensino bene tutti quelli che anelano ad un revival di “The Best Man” di
Gore Vidal, in cui il candidato presidenziale veniva scelto durante la
convention in una stanza piena di fumo. I partiti hanno anche abolito la “unit
rule”, che rendeva possibili certi grumi di potere. La unit-rule richiedeva a
tutti i delegati di uno stato di votare in blocco per il candidato scelto dalla
maggioranza. Il che permetteva a un
governatore o un capo di partito di giocarsi il voto del suo stato come se
fosse una fiche gigante, se solo fosse stato in grado di influenzare il 51% dei
delegati dello stesso stato. Non ci sono più giochi di potere, e non c’è più la
possibilità di creare grumi di potere, nessuna possibilità di influenzare o
scambiarsi blocchi di voti.
Dipende dallo stato quanto
a lungo i delegati sono associati a specifici candidati, tanto che solo alcuni sono obbligati a restarvi fino oltre il secondo
ballottaggio. In un contesto a
ballottaggi multipli, le scommesse sono chiuse.
Presto o tardi – più probabilmente presto – i delegati saranno lasciati
soli nella decisione di quanto a lungo restare con i loro candidati e se
cambiare le loro preferenze come suggeritogli. Con un simile sistema, nella loro seconda scelta, i delegati potrebbero dividersi
fra tutti i loro sostenitori.
Potrebbe
succedere di tutto: giorni e giorni di inutili ballottaggi; un accordo tra i
candidati per rompere l’impasse; un cambiamento spontaneo sul campo della convention,
forse (in stile “The West Wing” , dramma politico a puntate con Martin Sheen,
Alan Alda e Jimmy Smits, ndt ) propiziato da un discorso coi
fiocchi; o anche la nomina di qualche
nuova figura che non sia già stremata dalla lunga campagna elettorale. Per
esempio Newt Gingrich, il Repubblicano che più di tutti potrebbe dare una
scarica elettrica alla convention per mezzo di una raduno alla “carne rossa” di
piangenti conservatori. O Al Gore il cui populismo a tutto gas e gli appelli a
salvare il pianeta potrebbero eccitare i democratici.
Dal 1872 fino al 1952, convention contestate sono state la norma negli Stati
Uniti. Dal ’52 nessuna convention si è protratta fino al secondo
ballottaggio. Queste elezioni potrebbero
invertire la tendenza, con ribaltoni e risultati inaspettati, una delizia per
gli appassionati di politica. Se questo poi produrrà nomination migliori e
elezioni in generale migliori è un altro paio di maniche.
Norman
Ornstein è uno studioso presso l’American Enterprise Institute
(Traduzione
dall’inglese di Andrea Holzer)