Usa. Rapporto Senato svela: “Soldati a un passo dalla cattura di Bin Laden”
29 Novembre 2009
di redazione
Nel dicembre del 2001, Osama Bin Laden era accerchiato e vicino ad essere catturato dalle truppe americane a Tora Bora, in Afghanistan, quando i vertici militari presero la decisione di non attaccare il suo rifugio con tutte le forze a disposizione. È quanto si legge in un rapporto del Senato degli Stati Uniti che imputa all’allora segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e all’ex comandante del Centcom, Tommy Franks, una decisione dalle conseguenze disastrose, con il riemergere dei Talebani e con la Nato impantanata in Afghanistan dopo otto anni di guerra.
Nell’introduzione del rapporto che sarà pubblicato domani, proprio alla vigilia dell’annuncio del presidente degli Stati Uniti Barack Obama sul "surge" necessario per "finire il lavoro" contro i Talebani ed Al Qaeda, John Kerry, presidente della commissione Esteri del Senato, scrive: "Quando siamo andati in guerra meno di un mese dopo gli attacchi dell’11 settembre, l’obiettivo era quello di distruggere Al Qaeda e uccidere o catturare il suo leader, Osama Bin Laden e altri importanti personaggi… La nostra incapacità di concludere il lavoro alla fine del 2001 ha contribuito al conflitto di oggi che mette a rischio non solo le nostre truppe e quelle dei nostri alleati, ma la stabilità di una regione cruciale e instabile".
Ancora, il rapporto commissionato dal senatore Kerry, ex candidato democratico alla Casa Bianca nel 2004 contro George W. Bush e intitolato "Tora Bora rivista: come abbiamo fallito nel prendere Bin Laden e perché questo importa oggi" denuncia: "Rimuovere il leader di Al Qaeda dal campo di battaglia otto anni fa non avrebbe eliminato la minaccia estremista nel mondo. Ma le decisioni che hanno aperto la porta alla sua fuga in Pakistan hanno permesso a Bin Laden di emergere come potente figura simboloca che continua ad attrarre flussi costanti di denaro e ad ispirare fanatici nel mondo. Il fallimento nel completare il lavoro rappresenta un’opportunità persa che ha alterato per sempre il corso del conflitto in Afghanistan e il futuro del terrorismo internazionale".
Il documento – basato anche su dati non classificati del governo e su interviste con partecipanti all’operazione – sostiene con certezza che il leader di Al Qaeda si nascondeva tra le montagne di Tora Bora in un momento in cui gli Stati Uniti avevano i mezzi più che sufficienti per dare avvio a un’operazione rapida con migliaia di uomini. "Osama Bin Laden era a portata di mano a Tora Bora – si legge nel rapporto – Accerchiato in uno dei posti più impervi della terra, lui e centinaia dei suoi uomini resistettero instancabilmente ai bombardamenti americani, quasi a 100 raid al giorno". Il leader di Al Qaeda "si aspettava di morire – rivela ancora il dossier – Le sue ultime volontà e il suo testamento scritti il 14 dicembre riflettevano il suo fatalismo. Diede istruzioni alle moglie di non risposarsi e chiedere scusa ai suoi figli per essersi dedicato al jihad".
Ma l’attacco finale che avrebbe dovuto liberare il mondo dal terrorista di origine saudita, dall’uomo che architettò gli attacchi dell’11 settembre, non venne mai sferrato. "Le richieste di più truppe per bloccare i percorsi fra le montagne che portavano al rifugio situato a pochi chilometri dal Pakistan vennero respinte – accusa il rapporto – La vasta potenza di fuoco americana, dalle squadre di cecchini alle divisioni mobili dei Marines e dell’Esercito vennero tenute ai margini". Invece di lanciare un attacco su vasta scala, meno di un centinaio di uomini delle forze speciali vennero impiegati per l’operazione. "E il 16 dicembre o intorno a quella data, due giorni dopo aver scritto le sue volontà, Bin Laden e il suo entourage di guardie del corpo riuscirono a lasciare indisturbati Tora Bora e sparirono nelle aree tribali pachistane", dove molti sostengono si trovi tuttora.
"La decisione di non dispiegare le forze americane per dare la caccia a Bin Laden o bloccare la sua fuga venne presa dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e dal comandante in capo Tommy Franks", punta l’indice il documento del Senato, sottolineando come "i comandanti sul campo e altrove in Afghanistan ritenessero che l’impresa giustificasse i rischi". All’epoca Rumsfeld espresse il timore che una massiccia presenza di truppe americane avrebbe potuto provocare una reazione e disse che lui e altri comandanti non avevano prove sufficienti relative al luogo in cui si trovava Bin Laden.