Utero in affitto? No, “dono di maternità”

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Utero in affitto? No, “dono di maternità”

14 Marzo 2016

L’Espresso del 17 marzo mi dedica la satira preventiva di Michele Serra e il Pantheon di Denise Pardo, con i soliti più o meno ironici frizzi, lazzi e pernacchie e le tradizionali reiterate distorsioni del pensiero dell’avversario per poterlo meglio ridicolizzare.

 

Sin qui siamo nell’ordinaria supponenza di chi non si accorge di offendere non me ma l’80% degli italiani, che sull’argomento delle unioni civili e dell’utero in affitto la pensa esattamente come me. Quello che invece mi ha colpito è l’articolo di Stefano Bartezzaghi dedicato allo stesso argomento nella sua rubrica di critica linguistica “Come dire”.

 

Nel suo pezzo Bartezzaghi ricorda come lo scrittore Giulio Mozzi ha elencato i diversi termini impiegati da chi è intervenuto in Parlamento su una questione su cui, dice Bartezzaghi, “sarebbe invece occorsa la massima delicatezza”. Dopodiché ecco l’elenco che viene dato delle denominazioni usate: Maternità surrogata. Gravidanza per altri. Gestazione per conto terzi. Genitorialità di sostegno. Coadiuvante di maternità. Step gestation. Gestazione d’appoggio. Dono di maternità.

 

L’idea di Mozzi, conclude Bartezzaghi, è che tutto il parlare che si è fatto al proposito non è arrivato a diventare una discussione perché le parole tradivano l’opinione di chi le ha scelte.

 

Mozzi e Bartezzaghi sono evidentemente molto distratti, perché hanno dimenticato il termine più utilizzato al Senato e fuori dal Senato e cioè “l’utero in affitto”, l’immonda pratica di utilizzare a pagamento il corpo di una donna per la gestazione, salvo poi strapparle il bambino al momento della nascita, termine di cui nell’intero articolo non si trova nessuna traccia, impedendo così al lettore di capire di che cosa i due stanno parlando.