Va bene la realpolitik ma Gheddafi in Italia si è preso troppi spazi

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Va bene la realpolitik ma Gheddafi in Italia si è preso troppi spazi

11 Giugno 2009

Negli ultimi due giorni abbiamo avuto grande pazienza. Abbiamo accettato che l’Italia paghi gli indennizzi alla Libia per gli errori commessi dal nostro Paese durante il colonialismo. Abbiamo capito che gli accordi economici e la penetrazione dei capitali libici nel nostro sistema bancario erano il prezzo da pagare per mettere un freno ai flussi dell’immigrazione clandestina. Abbiamo dovuto rassegnarci alle ragioni di un superiore “realismo politico”, memore del dalemismo e dell’arab-politik di andreottiana memoria, subordinando la questione dei diritti umani alla speranza di una futura democratizzazione del regime di Tripoli. Ma adesso basta.

Adesso, dopo aver assistito al bailamme delle ultime ore, possiamo dirlo forte: questa visita del Colonnello Gheddafi in Italia non c’è piaciuta per niente. Per i toni usati dal nostro ospite, per i suoi atteggiamenti al limite del dileggio verso le autorità e le istituzioni italiane, per tutto quello che abbiamo dovuto ascoltare fra la visita al Senato e il discorso all’Aula Magna della Sapienza di Roma.

Bordate pazzesche tipo che “grazie agli Usa ora l’Iraq è nelle mani di Al Qaeda”, oppure che non c’è differenza fra l’attacco alle Torri Gemelle e quello americano che nel 1986 cercò di freddare il Rais nella sua tenda mobile nel deserto. O ancora che il terrorismo islamista è colpa dell’Occidente, comprese le vignette sataniche pubblicate in Scandinavia. “Che risultato poteva aspettarsi l’Occidente dalla pubblicazione delle vignette – ha detto Gheddafi davanti al baronato della Sapienza pronto ad ascoltarlo avendo cura di non interromperlo – se non una reazione rabbiosa dei musulmani?”. Per cui facciamoci una ragione che la violenza islamica e tutto quello che sta accadendo dopo l’11 Settembre sono “un diritto”, il diritto di terrorizzarci visto che “Maometto è considerato un Profeta anche in Scandinavia”.

Queste quattro giornate all’insegna del palestinismo più spinto (“c’è una deformazione scientifica della realtà – ha detto Gheddafi alla Sapienza – tutto ciò che ascoltate sulla Palestina è frutto di un punto di vista di parte”), in cui la questione dell’immigrazione clandestina è stata ridotta a un ricatto ‘morale’ (“gli immigrati vengono in Europa per riprendersi quelle risorse che sono state depredate durante il colonialismo, se le vecchie potenze coloniali offriranno degli indennizzi adeguati anche l’immigrazione si fermerà”), e in cui abbiamo dovuto addirittura apprendere che la democrazia rappresentativa non è una vera democrazia ma “una regressione” rispetto alla Grande Jamahiriyya Araba di Libia Popolare e Socialista, bene, queste giornate speriamo che finiscano al più presto.

Il nostro governo dovrebbe seriamente riflettere su come dovrà comportarsi in futuro quando deciderà di invitare altri dittatori nel nostro Paese, magari pensando già da adesso a come e dove “contenerli”, ed evitando, per esempio, di offrirgli tribune pubbliche come quella alla Sapienza. 

C’eravamo anche noi all’università di Roma, tra la calca di giornalisti professori e studenti annoiati e sempre più accaldati che hanno dovuto aspettare due ore e mezza prima che il Rais si decidesse di arrivare all’appuntamento. Intanto erano filtrate voci di un’imminente cancellazione dell’evento e altre che spiegavano il ritardo con l’ennesima sosta nella Tenda piazzata a Villa Pamphili. E vai con l’esotismo delle amazzoni in divisa (“abbiamo apprezzato molto le donne che l’hanno accompagnata” ha detto il Rettore rivolgendo al Rais), con il nasserismo fuori tempo massimo, con la pretesa di riscrivere i nostri libri di testo (“le giovani generazioni italiane non conoscono la Storia dell’invasione della Libia” ma Gheddafi non si preoccupi visto che ha tenuto una lezione fiume sull’argomento), e le domandine da terza media concordate fra il rettore e gli studenti (“Caro Colonnello, qual è la condizione della donna nella Libia di oggi?”). Che spettacolo edificante.

Tanto che per una volta – figurarsi! – abbiamo avuto un’occhiata di riguardo per quella ribalda giovinetta dell’Onda che, nonostante il linguaggio da comunicato-stampa sessantottino, ha preso la parola in Aula Magna per essere immediatamente stroncata dalle solerti forze censorie dell’Accademia. Microfono staccato e addio dissenso interno. D’altra parte, tranne questo episodio e qualche petardo, anche dell’Onda non s’è vista neanche l’ombra e tutto è filato liscio, soporifero e politicamente corretto come soltanto una lezione organizzata dall’università italiana sa essere.

Gheddafi è sopravvissuto a pericoli molto più gravi di un’impertinente domanda avanzata da un ricercatore meno intontito di altri. Al giovane che gli aveva chiesto “Presidente, lei ci sta dicendo che nel suo Paese gli ospedali e le scuole funzionano, ma il problema è la libertà. Dunque cosa intende per democrazia?”. L’interrogativo per un attimo ha risvegliato la sala ipnotizzata che ha risposto con un applauso durato un paio di minuti. E il Colonnello, imperturbabile, “la parola democrazia viene dall’arabo e vuol dire ‘il popolo deve sedere sulle sedie’. I libici hanno raggiunto una vera forma di democrazia diretta e mi auguro che anche l’Italia ci riesca molto presto”.

Probabilmente sono questi i “ponti” di cui parlava il Rettore della Sapienza. "I ponti destinati a oltrepassare i muri che dividono il Mar Mediterraneo", ovvero le passerelle buone a legittimare uno stato di cose in cui l’Europa, l’America e l’Occidente sono tirannidi malvagie e il mondo arabo una terra governata da benigni personaggi come Gheddafi. Sarà per questo che la Sapienza ha deciso di premiare il Rais con una bella medaglia d’oro. Questa è l’università italiana, questa la sua classe docente, questo lo stato dei rapporti tra Islam e Occidente.