Veltroni è tornato a parlare ma non se ne sentiva la mancanza

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Veltroni è tornato a parlare ma non se ne sentiva la mancanza

31 Marzo 2009

E’ tornato Walter Veltroni, è tornato a parlare di politica e del suo Pd in nel corso di un incontro alla Luiss Guido Carli di Roma. Lo ha fatto coi toni di sempre. “Ci vuole una democrazia bipolare in grado di decidere nei tempi velocissimi della società di oggi”, ha risposto alla domanda di uno studente sulla necessità di ampliare i poteri del premier. Ma anche, aggiunge l’ex segretario del PD, devono esserci i giusti bilanciamenti a tali poteri decisionali, quali ad esempio il divieto per il premier di possedere mezzi di comunicazione.

Con la consueta filosofia del “ma anche”, Veltroni si presta volentieri per un’ora e mezzo ad una sala strapiena di studenti che lo accoglie con un lungo applauso, nel quadro del ciclo di seminari “Master di educazione civica” che vedrà intervenire tra qualche settimana Gianfranco Fini. Il tema è il cammino socialdemocratico della sinistra italiana, e Veltroni cerca di declinarlo concentrandosi sul periodo della Guerra Fredda.  

Il perno della sua analisi è la tesi per cui in Italia dopo il fascismo i riformisti sono stati presenti in diversi partiti, PSI, PSDI, PRI, PLI, DC e anche PCI, ma sempre in posizione di minoranza al loro interno e soprattutto divisi tra di loro. Secondo Veltroni questa divisione è stata segnata nel 1956, quando di fronte alla rivolta in Ungheria il Partito Comunista Italiano decise di eseguire gli ordini di Mosca e condannare il movimento ungherese che chiedeva riforme e libertà. In quella circostanza in Italia si ruppe l’unità a sinistra con il PSI che iniziò invece l’avvicinamento alla DC e al governo di centrosinistra, cristallizzando in Italia la cosiddetta “democrazia bloccata” che vedeva il PCI condannato all’opposizione dall’appartenenza al campo sbagliato della Guerra Fredda, e i democristiani condannati a governare vista l’impossibilità di una vera alternanza.

Veltroni usa questa ricostruzione storica per spiegare come l’esperienza dell’Ulivo prima e del PD poi abbia risposto alla necessità storica dell’Italia di unire i diversi riformismi del centrosinistra, che erano stati divisi fino alla caduta del Muro di Berlino. Dal suo punto di vista anche il PCI, almeno da Berlinguer in poi, rientrava nel campo riformista e con la trasformazione in PDS acquistava la piena legittimità a governare.

Una ricostruzione storico-politica ovviamente e legittimamente di parte, che sollecita la domanda di uno studente in merito alla necessità per la sinistra post-comunista di fare i conti con il riformismo socialista di Bettino Craxi. Veltroni risponde che oggi i riformisti devono smetterla di guardare indietro, di ricucire gli strappi del passato, ma anche riprendere le buone idee espresse dalle tradizioni riformiste come quella socialista, ad esempio le tesi del Congresso di Rimini sulla riforma costituzionale e l’importanza da dare ai valori di talento e merito. A quanto pare quindi, persino un ex leader di sinistra che si autodefinisce senza più responsabilità di partito, non si spinge a riabilitare esplicitamente Craxi e un partito socialista che all’inizio degli anni ’90 prendeva il 14% dei voti con la bandiera del riformismo, e questo forse contribuisce a spiegare perché il PD abbia regalato tutti i voti socialisti (nonché ministri come Sacconi e Brunetta) a Forza Italia.  

Rispondendo alle domande degli studenti in un’atmosfera più rilassata, nella seconda parte dell’incontro Veltroni si sbilancia un po’ di più sull’attualità politica italiana e le sue prospettive future. Il PD? Doveva nascere 10 anni prima, quando nel 1996 con l’Ulivo c’erano le condizioni perché le identità dei diversi riformismi si mescolassero in un’appartenenza più grande, in un meticciato, come stava avvenendo nella squadra del primo governo Prodi. Le alleanze? L’Italia ha bisogno di un bipolarismo fondato su due grandi partiti che abbiano una coerente e omogenea piattaforma programmatica, e la finisca di essere ricattato da partitini che raccolgono il 2% dei voti. La riforma della legge elettorale? Le preferenze e i vecchi schemi del ‘900 non sono una soluzione all’attuale strapotere delle segreterie di partito, si deve tornare ai collegi uninominali per ricostruire il legame tra eletto e elettori, e introdurre per legge elezioni primarie che premino l’innovazione politica e il merito. Perché mi sono dimesso dalla segreteria? Perché credevo che le mie dimissioni rendessero la situazione nel PD meno convulsa, e perchè lo ritenevo giusto dopo le sconfitte subite. Quando i Democratici torneranno a vincere? Ci vuole il tempo per completare un ciclo politico che ora è in corso, occorre combattere una lunga battaglia culturale contro i valori affermati dalla destra e quindi non si può stare con l’orologio in mano. L’alternanza di governo? Non vuol dire che quando arriva una nuova maggioranza cambia tutto quello fatto dalla precedente, e richiede di smetterla di delegittimare gli avversari politici usando spettri ideologici.

In un’ora e mezzo di intervento non potevano mancare due temi classici di Veltroni, l’Africa e i Democratici americani. La prima presa come più grande esempio della disuguaglianza sociale su scala mondiale, i secondi come fonte di ispirazione del PD e del riformismo europeo che devono andare oltre l’alveo socialdemocratico per pensare nuove soluzioni alla crisi economica. Veltroni si lancia sui grandi temi della disuguaglianza e le nuove frontiere della comunicazione evitando accuratamente di nominare Berlusconi o D’Alema, e accetta volentieri di rimanere alla Luiss ben oltre il tempo concordato per il dibattito: ora che ha lasciato gli altri nella trincea politica, si può permettere finalmente di essere padrone del suo tempo.