Veltroni in difesa, Berlusconi all’attacco: comincia la nuova partita
25 Gennaio 2008
Con il passare delle ore le analisi si intensificano, le dietrologie pure, e appare sempre più chiaro che il bagno di sangue di Palazzo Madama non è stato la dolorosa conseguenza di un atto di rispetto nei confronti delle istituzioni rappresentative del Paese da parte di Romano Prodi, ma il culmine di una deliberata strategia. Le prossime mosse si giocheranno fra le quattro mura del loft di Sant’Anastasia, dove Walter Veltroni dovrà difendersi da una parte dall’assalto del premier dimissionario e della sua truppa di fedelissimi, e dall’altra da quanti – come Massimo D’Alema e Francesco Rutelli – per ragioni diverse il sindaco di Roma non l’hanno mai potuto sopportare, e dopo qualche mese di falso unanimismo sembrano pronti a sfoderare artigli e artiglieria (di partito).
Gli ulivisti di Rosy Bindi e Arturo Parisi difficilmente perdoneranno al segretario d’aver accelerato la crisi di governo con le sue dichiarazioni sul futuro “solitario” del Pd. Il ministro degli Esteri uscente cova da tempo il sogno di una formazione orientata decisamente a sinistra, pronta a recuperare i transfughi di Fabio Mussi dopo aver mollato, grazie ad un sistema elettorale che agevoli la nascita di una “cosa bianca”, la “zavorra” dei centristi. Parte di questi ultimi difficilmente potrebbe restare indifferente al richiamo di un nuovo soggetto politico di centro che dovesse inglobare personaggi come Savino Pezzotta. Veltroni, dal canto suo, ha coraggiosamente provato ad infrangere la logica della contrapposizione muscolare avviando con Berlusconi un percorso comune di riscrittura delle regole; ma lungo il cammino che avrebbe dovuto condurre ad una nuova legge elettorale in grado di incentivare l’aggregazione attorno a grandi partiti a vocazione maggioritaria, ha mostrato tutti i limiti di un leader “dimezzato”, catalizzatore di consenso fra l’elettorato “liquido” delle primarie, ma al momento sprovvisto di truppe e osteggiato dentro e fuori casa.
Di fronte ad un simile quadro, e al redde rationem che inequivocabilmente si prepara, il centrodestra – Forza Italia in particolare – non può far finta di niente. Gianfranco Fini ha colmato con un sol balzo le distanze che appena qualche mese fa sembravano rendere insanabile la frattura con il Cavaliere, e che ora sono state derubricate a semplici “divergenze sulla legge elettorale”. Casini ha utilizzato qualche giro di parole in più, ma dopo aver chiesto come prevedibile l’insediamento di un governo di responsabilità nazionale, ha lasciato aperta la porta, seppur come evenienza subordinata, alla rapida convocazione di elezioni anticipate.
Insomma, i presupposti per una riedizione riveduta e corretta della Cdl sembrano esserci tutti. Molte delle recenti difficoltà che avevano fatto pensare che quella del centrodestra fosse un’esperienza archiviata potrebbero essere superate senza troppi problemi. Ma i limiti che tra il 2001 e il 2006 ne hanno condizionato l’azione di governo resterebbero intatti. Anche perché – dato non secondario – alla proposta del coordinatore azzurro Sandro Bondi di riprendere le fila del percorso unitario laddove s’erano interrotte, Gianfranco Fini ha risposto picche, affermando che il Partito della libertà come casa comune del popolo dei moderati non è all’ordine del giorno.
Sullo sfondo resta la “rivoluzione del predellino”, la straordinaria eruzione del popolo dei gazebo, e la portata dirompente di un’iniziativa nata come contrapposizione al governo Prodi e risposta allo scatto di Veltroni, e che ora con il mutato scenario dovrà necessariamente confrontarsi. E’ vero infatti che il “cessate il fuoco” coraggiosamente siglato tra il Cavaliere e il sindaco di Roma è un patrimonio da salvaguardare nonostante le asprezze che la probabile imminente campagna elettorale porterà con sé. E’ però altrettanto vero che il processo di costruzione del Popolo della Libertà – silenziosamente e laboriosamente portato avanti da una classe dirigente consolidata e da una squadra di giovani che con essa hanno trovato un punto di equilibrio e di incontro – è nato prefigurando come approdo naturale la nascita di un’alternanza bipartitica e non più bipolare, realizzata attraverso l’introduzione di una legge elettorale che ponesse al centro del sistema due partiti a vocazione maggioritaria in grado di fungere da aggregatori. Ed è nato anche in un momento in cui entrambi gli interlocutori – Berlusconi e Veltroni – s’erano trovati a confrontarsi con i limiti delle rispettive coalizioni, dalle quali pareva indispensabile emanciparsi in qualche modo.
Nel centrosinistra erano arrivati per primi. Ma l’implosione della maggioranza di governo, le conseguenze di un percorso costituente che aveva lasciato in sospeso troppe contraddizioni, e la mancanza di una autentica leadership carismatica stanno complicando notevolmente le cose. Berlusconi, invece, il sogno di una grande casa dei moderati lo coltiva da oltre dieci anni, e il carisma gli ha consentito di lanciare il nuovo soggetto politico semplicemente annunciandolo dal predellino di un’automobile. La rovinosa caduta di Prodi lo ha posto di fronte all’interrogativo: procedere spedito e affrettare il passo in vista delle elezioni probabilmente imminenti, consapevole del possibile effetto destabilizzante sugli “alleati ritrovati”, o scalare la marcia ricompattando il centrodestra per stritolare (elettoralmente, s’intende) gli avversari in procinto di fagocitarsi l’un l’altro.
La strada era segnata, ma gli eventi delle ultime ore hanno accelerato le dinamiche in corso. Giunto al bivio prima del previsto, il Cav. sembra aver trovato il punto di sintesi: partecipare alle elezioni col simbolo collaudato di Forza Italia e la sua macchina ben oliata da una lunga stagione di congressi e mobilitazioni, rinviando a dopo le elezioni il coronamento del progetto annunciato a San Babila. Chiarendo sin d’ora che il centrodestra vincerà con largo vantaggio, ma che se così non dovesse essere non commetterà a parti invertite il drammatico errore di Prodi dell’aprile 2006. E che sui temi importanti che si presenteranno e che ci sarà tempo per approfondire, “se facessimo venire meno questo clima di contrasto che qualcuno definisce di guerra civile ma che per fortuna non è – dice Berlusconi -, se condividessimo certe decisioni difficili, non faremmo che il bene del Paese”. E chi vuol intendere, intenda.