Veltroni offre a Prodi un pericoloso ramoscello d’ulivo

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Veltroni offre a Prodi un pericoloso ramoscello d’ulivo

12 Ottobre 2007

La promessa è messa nero su bianco nell’ultima intervista, in technicole ed effetti speciali, concessa a doppia pagina nello spazio nobile del Corriere della Sera. “Con il presidente del Consiglio ci sarà una distinzione di ruoli: perchè il ruolo del premier di un governo è, e deve essere, diverso da quello del segretario del primo partito della coalizione”. Un impegno apparentemente rassicurante a gettare acqua sul fuoco del dualismo con Romano Prodi e ad esorcizzare lo spettro politico che da lunedì, esaurito il tour del grande circo itinerante delle primarie del Partito Democratico, inizierà ad agitare le notti del governo. Peccato che le parole di Walter Veltroni siano condite da una postilla non proprio rassicurante. “Ma le riforme vanno fatte in otto mesi perché altrimenti la gente resterà allibita”.

La formula è morbida ma il messaggio è diretto. E la pax veltroniana, posta in questi termini, assomiglia più a una tagliola che a un ramoscello d’ulivo, a una mano tesa vestita da un guantone da pugile. Tanto più che, a testimonianza del fatto che la partita di potere del dopo 14 ottobre è già iniziata, a livello più o meno ufficiale, inizia già a svilupparsi sotto traccia il dibattito sulle poltrone del nuovo partito. E da più parti si leva l’invocazione all’ “auto-azzeramento” dei ministri e degli incarichi parlamentari. Una prospettiva che sarebbe molto gradita allo stesso Veltroni che potrebbe così avere persone riconducibili alla sua leadership nei posti chiave. Il leader in pectore del Pd, ad esempio, non nasconde al suo staff di sognare capigruppo “rosa” in entrambe le Camere. Un segnale forte verso l’universo femminile della politica che gli consentirebbe, al contempo, di procedere al progetto di ricomposizione dei litigi andati in scena in queste settimane con la candidata Rosy Bindi. Una via crucis che ha segnato tutta la campagna elettorale delle primarie, cancellando presso l’elettorato quell’impressione di nuova frontiera della politica che il Partito Democratico, almeno nelle intenzioni, vorrebbe incarnare. Ebbene se la casella ulivista di Palazzo Madama è stabilmente occupata da Anna Finocchiaro, un cambio della guardia potrebbe avvenire a Montecitorio. La poltrona di capogruppo è, infatti, occupata da Dario Franceschini che dovrebbe lasciare l’incarico alla Camera per trasferirsi a Via Santi Apostoli assumendo il ruolo di numero due del Partito Democratico. A quel punto Veltroni potrebbe offrire la poltrona di presidente dei deputati a Rosy Bindi e porgere un ramoscello d’ulivo al ministro della Famiglia, attratto da questo nuovo incarico che per lei rappresenterebbe il ritorno a una vita parlamentare più attiva.

La mossa avrebbe un significato forte sia dal punto di vista politico che da quello simbolico, esorcizzando almeno in parte quel nervosismo che serpeggia in tutta l’area prodiana e che si traduce in un vero e proprio complesso della congiura. Congiura che, secondo i fautori del sospetto, avrebbe un unico obiettivo: sostituire quanto prima il Professore con un governo-ponte che conduca l’Italia alle urne e apra una nuova fase nel centrosinistra.

Tutto questo, però, è proiezione futura, ragionamento su scenari magmatici inevitabilmente sottoposti alla furia degli elementi politici. Il presente è rappresentato dalla chiusura della campagna veltroniana per le primarie che andrà in scena oggi tra l’ultima zampata politica al Lingotto di Torino, il pranzo nel quartiere Barriera con una famiglia di lavoratori immigrati del Sud e la kermesse finale al Rolling Stones di Milano. Poi da domenica, chiuse le urne e sigillati gli 11mila seggi sparsi in tutta Italia, si ragionerà sui numeri. Si punta a superare la soglia del milione di votanti (ma è un obiettivo volutamente al ribasso così da poter gridare al trionfo quando questa percentuale verrà superata e si toccherà quota due milioni) e si prevede che il ticket Veltroni-Franceschini possa prendere il 75% a livello nazionale. Un risultato che potrebbe portare in dote al sindaco di Roma 1800 membri della costituente, di cui 1100 di provenienza Ds e 700 di “stampo margheritino”. Secondo il Riformista ai dalemiani potrebbe toccare la maggioranza relativa dell’assemblea, mentre tra i diellini a uscirne meglio dovrebbe essere la macro-area popolare con Fioroni e Franceschini.

La partita è aperta. Ma, numeri a parte, ciò che conta è verificare se e quanto l’investitura veltroniana assumerà i caratteri del plebiscito. E se la sua eventuale beatificazione elettorale potrà tradursi, in tempi brevi, in una bruciante delegittimazione del governo Prodi.