Veltroni sa di perdere e pensa già al dopo-elezioni
11 Febbraio 2008
“Vergin
di servo encomio e di codardo oltraggio”: è questo il filo rosso che un
commentatore deve seguire nel valutare lo svolgersi dei fatti della politica e
dell’economia. Ovviamente, ognuno si
orienta seguendo la propria coscienza; spetta poi ai lettori – sulla base delle
convinzioni che si fanno – confermare o meno lo sforzo di obbiettività di chi
scrive.
A voler osservare la realtà politica di questi ultimi giorni non si può
non apprezzare le novità presenti in ambedue gli schieramenti, al di là delle
abbondanti concessioni che, in entrambe le parti, vengono fatte alle esigenze
massmediatiche e comunicative che condizionano le vicende nostrane (tanto da indurre, quindi, un
atteggiamento prudente ed una capacità di saper distinguere tra i cambiamenti
veri e quelli fasulli).
A sinistra – almeno per ora – è in atto una frattura
tra il Pd e la Sinistra Arcobaleno, destinata ad allargarsi quando verranno
messi in campo i programmi elettorali. Quello dei programmi è un aspetto fino
ad ora sottovalutato. Ma c’è da attendersi (considerando le idee e lo spessore
culturale delle personalità che lavorano al documento del Pd) che il partito di
Veltroni presenterà un programma assai innovativo, in grado di parlare un
chiaro linguaggio riformista a tutti i riformisti.
Al contrario, la Cosa rossa
resterà prigioniera dei miti e delle ideologie che fanno di quella componente
della politica italiana un baluardo della conservazione (se non addirittura
della reazione). Il confronto tra i programmi delle due anime della sinistra –
che hanno governato insieme fino a ieri –
diventerà un vero motivo di polemica elettorale.
A pensarci bene la
sfida di Veltroni è su due fronti. Il leader del Pd mette in conto di perdere le
elezioni e di dover trascorrere un periodo (che si augura breve) nella “traversata del deserto” dell’opposizione, ridimensionando nel frattempo
gli ex alleati di sinistra. Ciò, in vista di uno dei primi appuntamenti del “dopo elezioni”: “che fare” della legge elettorale nella
prospettiva del referendum, essendo un eventuale nuovo provvedimento destinato non solo a dare stabilità
all’ordinamento istituzionale, ma anche a ridisegnare il sistema politico
della Terza Repubblica.
A sinistra, in
seguito alla rottura (prossima ad acuirsi) a livello nazionale, si apriranno
problemi anche sul piano locale, in qualche modo anticipati dal caso Bologna
(dove il Prc non fa più parte della maggioranza che sostiene la Giunta
Cofferati).
Sul fronte opposto, la situazione è ancora in movimento. Il centro
destra ha sicuramente una prontezza di reazione e di decisione maggiore di
quella dei suoi avversari, ma certi processi hanno comunque bisogno di un
minimo di assestamento. Tuttavia, occorre riconoscere – bon gré mal gré
– a Silvio Berlusconi una capacità intuitiva di grande spessore (forse è vero
che la fortuna aiuta gli audaci).
Subito dopo la sconfitta elettorale del 2006
– quando la sua coalizione cominciò a dare segni di cedimento – il Cavaliere non si è mai rassegnato alla strategia
dei tempi lunghi (che avrebbe richiesto un riposizionamento delle proprie
forze), ma ha giocato tutte le carte sulla caduta prematura dell’Unione. Il D
Day non è stato il 14 novembre. Ma la previsione era sbagliata soltanto di due
mesi.
E che cosa pensare e dire dell’ironia provocata, nei salotti radical
chic, dal famoso “discorso del predellino” in Piazza S.Babila?
Si trattò sicuramente di una trovata
mediatica, pensata per sottrarre il Cavaliere da un momento di difficoltà, in
cui anche gli alleati gli stavano voltando le spalle. Eppure oggi, quel “colpo di teatro” (che tale non era se si pensa al cantiere
aperto dai circoli della libertà) si è trasformato in un’interessante
svolta politica. Infine, la scelta di
andare al voto con la vigente legge elettorale. Era già iniziata – con un
supporto impressionante messo in campo dai poteri forti – una campagna rivolta
a screditare e a delegittimare il Parlamento eletto il 13 e il 14 aprile, in
applicazione di una legge accusata dei peggiori difetti possibili: di favorire
la frammentazione, di provocare l’instabilità strutturale, di imporre ai
cittadini le scelte dei partiti nelle candidature, dimenticando che nessuno dei
progetti all’esame negli ultimi mesi si fosse posto il problema di reintrodurre
il voto di preferenza che costituisce il viatico principale della corruzione e
del clientelismo in politica e che persino nelle elezioni interne al Pd era
stato bandito.
La realtà fattuale sta smentendo i profeti di sventura, le
prefiche della menzogna. Il sistema politico ha in corso dei cambiamenti
profondi nonostante il “porcellum” (oppure in conseguenza di esso?).
Un’ultima considerazione. Il Popolo della liberà e i suoi alleati devono fare
attenzione a non prestare il fianco sul terreno del programma elettorale.
Questa volta, il Pd non farà a Berlusconi il regalo di presentare, come fece
Romano Prodi, un documento di 285 pagine denso di idee e proposte rancide ed
obsolete. E’ necessario che il PdL si metta all’altezza della sfida che gli
sarà lanciata dall’elaborato della Commissione Morando. Ci sono, nel centrodestra, le risorse per riuscire nell’impresa. Basta soltanto cambiare approccio
culturale, pensando alle soluzioni che servono al Paese, non alle suggestioni
che possono colpire la fantasia dell’opinione pubblica.