Vendola conferma: tutti contro il Cav. poi ognuno per la sua strada
28 Febbraio 2011
di redazione
Dice che la Santa Alleanza è un’operazione “autolesionista” ma poi la consacra a strategia possibile per fare tre cose: legge elettorale, conflitto di interessi e sistema dell’informazione (alias tormentone libertà di stampa). Dopodichè ognuno per la sua strada, cioè prima alleati e poi di nuovo avversari politici. Tutto nell’arco di pochi mesi. Modello fisarmonica, insomma.
Niki Vendola carica i suoi alla convention romana e manda messaggi a Bersani sul grande cantiere della sinistra, ma per intanto non disdegna la ricetta dalemiana con un unico ingrediente: tutti insieme per far fuori Berlusconi (politicamente). Non importa se a braccetto con Fini e Casini oppure con quello stesso D’Alema che in Puglia ha fatto il diavolo a quattro pur di ostacolarne la corsa (e la vittoria) a presidente della Regione. Niente di tutto questo: scordammose ‘o passato e attrezziamoci per il presente, è la via vendoliana per l’assalto finale al berlusconismo.
Il punto è un altro: se mai ce ne fosse stato bisogno, il candidato premier in pectore della sinistra dura e pura, impegnato moltissimo nel suo personale tuor politico da un capo all’altro dell’Italia e pochissimo nell’amministrare la sua regione, ha formalmente ammesso che non c’è un solo tema, progetto, proposta politica che possa essere condivisa tra le forze che dovrebbero aderire al progetto anti-Cav. Non un ‘intesa sulle politiche per la famiglia (ce lo vedete Casini a litigare con il leader di Sel sulle coppie gay, l’abolizione dell’otto per mille alla Chiesa, la patrimoniale?), tantomeno su quelle economiche (non a caso a Bersani manda a dire che sul liberismo “non ci avrete mai”) o sugli interventi per garantire la libertà di scelta sulle scuole, sostenendo a fianco delle pubbliche anche quelle private. E la politica estera? Chi la spunterà tra l’ideologia pacifista-new global e la fedeltà al patto atlantico?
Vendola non può nascondersi dietro un dito, D’Alema nemmeno quando propone la Santa Alleanza, e lo stesso discorso vale per quelle anime candide ed eticamente ineccepibili di Casini e Fini. Non c’è nulla che li possa tenere insieme, neppure un anno o un mese. E le tre cose che dovrebbero dominare sul lenzuolo bianco del programma sono tutte finalizzate a ribaltare lo status quo, spazzando via il bipolarismo che gli italiani hanno scelto democraticamente e restaurando la vecchia logica partitocratica, dove le alleanze vere si fanno dopo il voto in Parlamento e non prima di andare alle urne. Tre cose che servono da un lato a sbarazzarsi dell’imgombro-Cav., dall’altro a farsi leggi su misura (cioè ad personam che fa tanto politically correct) che consentano a Vendola, Bersani, Casini, Fini e Rutelli di restare a galla e giocarsi quell’ultima carta che gli resta, l’ultima possibilità prima dell’oblio (politico): provare a governare.
Ecco, l’unica cosa che tutti condividono è questa e allora se sul piano politico si evoca la Santa Alleanza, su quello giudiziario si incensa l’operato dei pm milanesi che hanno già fatto del Rubygate un processo politico contro Berlusconi prima ancora che il processo – quello vero – si apra e che il reato solo ipotizzato e inesistente per ammissione delle presunte parti coinvolte (il funzionario della questura che dice di non essere stato concusso e Ruby che dice di non aver fatto sesso col premier né di aver ricevuto per questo soldi in cambio) possa essere verificato e acclarato (considerato che finora secondo l’ordinamento processuale la prova del reato si forma proprio durante il dibattimento).
A Milano si fa così perché in mezzo c’è il Cav. ma a Bari nello scandalo della sanitopoli, nelle cui maglie lo stesso Vendola oltre all’assessore Tedesco oggi senatore Pd è rimasto impigliato (anche se la sua posizione è stata archiviata), i pm si sono ben guardati dal far coincidere la responsabilità penale e quella politica, evitando così di trasformare un’inchiesta in una Babele politico-mediatica con annesso stillicidio quotidiano di pezzi di indagine, intercettazioni pubblicate e commenti ad hoc.
E tuttavia, al netto dei due pesi e due misure che i magistrati hanno dosato per Vendola e Berlusconi il dato che nessuno potrà cancellare – nemmeno i commenti stizziti del governatore nei confronti del gip o l’operato di una procura che non ‘sputtana’ un presidente di Regione – è il marciume del sistema sanitario pugliese che emerge dalle carte giudiziarie, rispetto al quale il leader di Sel che dall’alto del suo ‘trono’ dal quale dispensa sogni e speranze per l’umanità intera, non può eludere le responsabilità politiche sue e della classe dirigente democrat che governa la Regione.
Questione di coerenza, insomma: e se si invoca il garantismo non lo si può fare solo quando fa comodo. Da Vendola e Bersani, da D’Alema a Franceschini a questo punto ci aspettiamo un atto conseguente: una bella e sana autocritica per quanto la sinistra ha fatto contro l’ex governatore Fitto (oggi ministro) portando l’ente regionale a costituirsi parte civile o addirittura a opporsi a una richiesta di archiviazione. Tutto questo non si confà per principio alle anime belle che già si autocandidano al governo del paese, prima ancora di pesarsi nelle urne. Ma conoscendo Vendola&C, il nostro rischia di restare solo un auspicio.