Venezuela, “guerra lampo” o lenta “operazione Barbarossa”?

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Venezuela, “guerra lampo” o lenta “operazione Barbarossa”?

14 Febbraio 2019

Sembrava essere un blitzkrieg, una guerra lampo, e invece si sta mostrando un’operazione Barbarossa, lunga e faticosa. Già, poiché l’autoproclamazione di Juan Guaidó, il presidente dell’assemblea nazionale, come presidente del Venezuela, che avrebbe dovuto detronizzare lo chavista Nicolás Maduro, nonostante i riconoscimenti americani e della quasi totalità dell’Europa (l’Italia no), sembra sempre di più una scatola vuota. Con tempi di risoluzione sempre più incerti, impermeabili anche, probabilmente, alle recenti esortazioni di papa Francesco, che con una lettera, su sollecitazione dello stesso Maduro, ha cercato di mediare.

Gli esperti interpellati sulla vicenda sudamericana, infatti, osservano che i regimi autoritari sono spesso riusciti a sopravvivere per mesi, nonostante l’intensa pressione interna e internazionale. Anzi, gli analisti temono che se Maduro rimarrà ancora a palazzo di Miraflores, il popolo venezuelano potrebbe affrontare una drammatica escalation di penuria di cibo e di crisi sanitaria, che stanno già paralizzando la nazione. Si tratta della “sporca” partita dell’erede dell’ex presidente Chavez, divenuta punto di forza del regime ancora in carica, in quanto in grado, essendo l’unico soggetto detentore del potere – per giunta in un paese povero – di decidere sulla vita e la morte, detenendo il monopolio sulla distribuzione di ciò che è alla base della piramide di Maslow (i bisogni primari dell’esistenza umana).

È vero che i venezuelani sono quotidianamente mobilitati nelle vie e nelle piazze, soprattutto di Caracas, mettendo sotto pressione il presidente Maduro, scatenando nelle strade proteste di massa, ma è altrettanto lampante che i leader del dissenso hanno ammesso che l’obiettivo di far cadere il governo socialista sembra, nei fatti, essersi trasformato in una lotta a più lungo termine. A tre settimane dall’autoproclamazione di Guaidó, la cerchia ristretta di Maduro ha mostrato pochi segni esteriori di cedimento. «Nessuno può prevedere esattamente per quanto tempo durerà», ha detto, ai giornali, Juan Andrés Mejía, un leader dell’opposizione venezuelana e stretto alleato di Guaidó. «Mi piacerebbe», ha aggiunto, «che fossero giorni, ma potrebbero essere settimane o addirittura mesi». Intanto il governo autocratico ancora in carica ha portato la nazione verso una crisi umanitaria, caratterizzata da gravi carenze alimentari e mediche. Calamità che, tuttavia, non stanno inducendo Maduro ad abbandonare, nonostante la strategia adottata dagli Stati Uniti di tagliare i flussi di entrate internazionali, con l’intento di provocare una rivolta militare contro il governo. Anche se, va registrato, nelle scorse settimane Maduro ha subìto una manciata di defezioni, con un’opposizione che spinge alla rivolta sia i militari, sia i funzionari statali per un indebolimento del sostegno all’esecutivo.

Una situazione bifronte, per certi versi inedita, in Venezuela, in cui se da un lato l’inasprimento delle sanzioni statunitensi che colpiscono il settore chiave del Venezuela, quello del petrolio, è tra i più forti mai imposti da Washington, dall’altro chi poi patisce la sofferenza della chiusura dei rubinetti americani è il popolo venezuelano. Per esempio, al momento non è consentito lo scambio di petrolio con cibo, come è invece accaduto col governo iracheno di Saddam Hussein prima di essere rovesciato nel 2003. Fatto è che l’opposizione sta anche cercando di sfidare Maduro, tentando di far giungere a destinazione gli aiuti umanitari che su larga scala arrivano dalle nazioni occidentali, compresi 20 milioni di dollari di forniture partite dagli Stati Uniti. Transiti per i quali Maduro ha promesso di bloccare le spedizioni, anche se Guaidó, martedì scorso, ha chiesto ai militari di disobbedire ai suoi ordini e di consentire le carovane umanitarie previste per il prossimo 23 febbraio.