Venezuela, reportage dal paese della censura

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Venezuela, reportage dal paese della censura

31 Maggio 2007

E’ passata da pochi minuti la mezzanotte del 27 maggio, nel quartiere carachegno La Florida il frastuono è impressionante: è iniziato il cacerolazo (sbattimento di pentole in segno di protesta) che grida la rabbia e la tristezza di tanti venezuelani per la scomparsa di un’emittente storica, quella che era di gran lunga la più vista nel paese. La stessa scena si ripete in molte altre zone di Caracas, in altre città del Venezuela. Rctv, la più antica emittente privata del Sudamerica, si è appena congedata dall’etere: appena terminata la rituale trasmissione dell’inno nazionale, il suo logo è scomparso dallo schermo ed è apparso il monoscopio di TVes, la “Tv sociale” delegata a rilevare il segnale di Rctv. In serata, un prologo drammatico alla morte annunciata di “Radio Caracas Television”: la “concentrazione” di protesta indetta dall’opposizione antichavista dinanzi alla sede del Conatel – l’organismo governativo che sovrintende alle tlc – viene dispersa dalla Guardia Nacional e dalla Policia Metropolitana a colpi di lacrimogeni. Da quella domenica, si sono avute in tutto il paese oltre 100 manifestazioni, con un bilancio (a martedì) di 27 feriti (19 poliziotti e 8 manifestanti), 182 arrestati (quasi tutti studenti, 107 fermati sono minorenni), e anche un ragazzo morto in circostanze poco chiare a Maracaibo. Da più parti è stato segnalato un eccesso nell’uso delle pallottole di gomma da parte della polizia; una giornalista spagnola ha denunciato di essere stata colpita da 24 di questi proiettili.

Rctv cessa le trasmissioni in chiaro (continuerà a trasmettere sul digitale) perché il governo ha ritenuto di non rinnovarle la concessione delle frequenze popolarmente conosciute come “canal 2”, concessione che scadeva alla mezzanotte del 27 maggio. Gli oppositori di Chavez sostengono che si tratta di una misura che ha il solo scopo di mettere a tacere la voce dell’opposizione, di cui Rctv era, incontestabilmente, il più efficace megafono. Il governo argomenta che Rctv ha avuto un ruolo attivo e di primo piano nel fallito golpe dell’11 aprile del 2002 e ritiene di non rinnovarle la concessione, come del resto è sua prerogativa. Un’altra argomentazione la enuncia il sindaco di Caracas Juan Barreto, esponente dello chavismo più radicale: “Non è possibile che uno stato conceda a un privato per il suo tornaconto commerciale la frequenza con maggior penetrazione nello spettro radioelettrico del paese, non avviene da nessuna parte. Rctv ebbe la concessione dal dittatore Peréz Jiménez, adesso lo stato se ne riappropria, perché quell’importantissima frequenza è di tutto il popolo venezuelano”. I vertici di Rctv, che godono del pieno appoggio di tutto lo schieramento antichavista, hanno lanciato una martellante campagna contro la decisione del governo, una campagna che identifica la sopravvivenza di Rctv con la sopravvivenza della libertà d’espressione in Venezuela. Un’impostazione sposata senza riserve dai grandi quotidiani borghesi El Universal ed El Nacional, e in generale da tutta l’opposizione a Chavez; e condivisa anche dall’Europarlamento e dal Senato degli Stati Uniti.

Al di là dello scontro di principi, quello che indubbiamente sparisce è la tv che offriva, di gran lunga, la programmazione più godibile del Paese: due film “blockbuster” ogni domenica, il popolarissimo programma comico-satirico “Radio Rochela”, i “format” internazionali quali “Chi vuol esser milionario”, le telenovelas più popolari – diverse delle quali prodotte direttamente da Rctv con le star nazionali più celebri, produzioni che hanno raggiunto anche l’Italia. In questo senso, risultano credibili i sondaggi che rilevano una grande maggioranza del paese contro la decisione di Chavez. E si capisce meglio la rabbia dei settori borghesi della popolazione, largamente antichavisti: al loro modello culturale, rappresentato da una tv commerciale di grande mestiere quale Rctv, è stato sostituito un modello culturale che rilancia prepotentemente l’allarme di una “deriva castrista” della società venezuelana. Perché, come commentava un giornalista italovenezuelano relativamente alla prima giornata di trasmissioni della nuova TVes (“Televisora Venezolana Social”): “Se levi i programmi del tutto schierati sulle posizioni di Chavez e le pubblicità del governo, non resta nulla”. In molti temono che la nuova tv statale segua l’esempio di ViVe, la tv creata dal governo che trasmette documentari fatti da giovani cineasti sulla vita quotidiana “del pueblo”: una giornata con i pescatori di Rio Caribe, un viaggio dentro una sezione della governativa “Mision Ribas”, tediosissime tavole rotonde culturali e via di questo passo. Inevitabile essere assaliti dalla nostalgia per le brave, e belle, saltimbanche di “Radio Rochela”.