Gli Agnelli-Elkann hanno optato per una sorta di rivoluzione moderata. Il gruppo Gedi, dalla giornata di ieri, ha cambiato paradigma. E forse questo processo influirà sulle sorti del giornalismo italiano. Almeno di quello di una parte specifica. Vale la pena sottolineare sin da subito come i giornalisti di Repubblica abbiano indetto uno sciopero quasi immediato. C’era da aspettarselo: Repubblica è un giornale che, in questi anni, si è distinto per supportare in maniera del tutto naturale le posizioni della sinistra liberal statunitense. Se le primarie dei Democratici statunitensi fossero state vinte da Elizabeth Warren, insomma, probabilmente a Repubblica avrebbero stappato lo spumante. Maurizio Molinari, il nuovo direttore, tanto liberal non è. E se lo è, comunque, non lo sembra.
Capiamoci: Molinari non è un trumpiano o un populista, ma di sicuro rappresenta un profilo meno abituato di altri alla posizione precostituita. Molinari è un giornalista che sa leggere la realtà, basandosi su categorie diffuse. Non ragiona mediante schematismi standard, della serie “Joe Biden, l’obamiano, sarà sicuramente meglio, ed in ogni caso, di Donald Trump”. La visione di Molinari è tanto certosina quanto internazionale. Repubblica, invece, si è spesso contraddistinta per essere un giornale di lotta ideologica di governo o d’opposizione. Con buone probabilità, la visione di Repubblica diventerà più amplia, interessando la scena geopolitica mondiale a 360 gradi. Qualcuno ha avvisato i massimalisti di sinistra che risiedono in quella redazione? Gli ex di Lotta Continua? Il fondatore Eugenio Scalfari ha contezza dei cambiamenti che potrebbero essere posti in essere? Non lo sappiamo. Quello che è certo è lo sciopero dei giornalisti. Una mossa che è piuttosto esemplificativa dell’aria che tira. Gli Agnelli-Elkann, nel frattempo, sono attivissimi. Un segnale per un’imminente discesa in campo? Sarebbe l’ennesimo indizio caduto a vuoto nella storia recente. Inutile interrogarsi troppo.
L’ex direttore di Repubblica, Verdelli, non ha preso parte al turn over. Scaricato? E chi lo sa. Magari sì. Massimo Giannini diviene il nuovo direttore de La Stampa, che potrebbe spostarsi a sinistra, mentre Mattia Feltri prenda la guida dell’Huffington Post. Prima di passare a qualsiasi altra considerazione, sembra lecito porre una questione: spesso e volentieri la sinistra italiana si è scagliata, anche mediante i mezzi mediatici a disposizione (mai pochi), contro il presunto monopolio editoriale esercitato da Silvio Berlusconi. Bene, questi tre giornali appartengono tutti allo stesso gruppo. Nessuno nel centrodestra ha mosso mezzo ciglio, criticando il fatto che gli Agnelli-Elkann possiedano tre grossi ed importanti quotidiani, online o cartacei che siano, ma questa è un’altra storia.
Passiamo al pratico: Massimo Giannini e Mattia Feltri raccolgono così la sfida della direzione. Non c’è molto da nascondere: sono due enfant prodige di un “certo modo” – direbbe Baricco – di “interpretare” il giornalismo. Buon per loro. Non è nostra usanza farsi gli affari altrui ma, immaginando quello che potrebbe accadere, risulta curioso prevedere una sorta d’inversione dei ruoli, con una Stampa di lotta ed una Repubblica di governo. Una Stampa focalizzata sulla politica interna ed una Repubblica portata al ragionamento complessivo sul piano geopolitico? Staremo a vedere, ma il quadro di partenza suggerisce qualcosa del genere.
La conclusione è sin troppo scontata. E passa per un ennesimo quesito: i cambi di casacca, se così si possono chiamare, incidono ancora sulle scelte dei lettori? Diciamolo meglio: Molinari sarà in grado di mettere in difficoltà il Corriere della Sera, che mantiene il ruolo di “quotidiano nazionale” per antonomasia? Oppure quanto messo in campo dagli Agnelli-Elkann assomiglia ad un modus operandi antiquato, che non tiene conto delle vere variabili della storia, tra cui la possibile riduzione o scomparsa del giornalismo alla cartacea maniera? Difficile rispondere ora. Quella degli Agnelli-Elkann è una mossa. Vediamo se, parafrasando il palio di Siena, configurerà in fin dei conti una falsa partenza, ossia una partenza non destinata a dare vita ad un vero e proprio palio.