Verdini e Bertolaso presi nella “pesca a strascico” delle intercettazioni

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Verdini e Bertolaso presi nella “pesca a strascico” delle intercettazioni

16 Febbraio 2010

 

Cosa c’è di così interessante per le indagini nell’ascoltare, registrare, allegare al fascicolo dell’inchiesta e dare ai giornali la conversazione della moglie di un politico di primo piano che parlando con un amico di famiglia si preoccupa che il figlio abbia una buona sistemazione in un albergo? In un paese normale la risposta sarebbe scontata, ma in Italia dove da quindici anni il conflitto tra giustizia e politica è ancora irrisolto, non è poi così ovvia.

Perché a prescindere dal politico di turno indagato da questa o quella procura, il punto è sempre lo stesso:  la tendenza all’uso da “grande orecchio” che spesso certi pm fanno degli strumenti investigativi, sia che si tratti di intercettazioni telefoniche, sia che ci si trovi di fronte al pentito o pseudo-tale folgorato dal sacro fuoco della parola, magari a scoppio ritardato sulla tabella di marcia della tempistica e degli eventi di cui dice di sapere. E’ un film già visto che si ripete: dagli anni di Tangentopoli passando per la stagione della seconda Repubblica.   

E’ accaduto qualche giorno fa con Guido Bertolaso finito nel registro degli indagati per gli appalti del G8 alla Maddalena. Due gli esempi lampanti del tritacarne mediatico alimentato da qualche ufficio giudiziario prodigo di atti che, invece, nella fase delle indagini preliminari dovrebbero restare ben conservati sulla scrivania degli investigatori e chiusi nel recinto del segreto istruttorio ma che invece, puntualmente, finiscono sui giornali. Il primo riguarda la presunta dazione di danaro che i pm fiorentini ipotizzano a carico del capo della Protezione Civile per l’assegnazione di lavori a un imprenditore. Nell’ordinanza del gip si riporta la conversazione dell’imprenditore con un sacerdote al quale chiede di racimolare una somma di denaro. Da qui si ipotizza che il destinatario poteva essere Bertolaso ma gli stessi pm non ne sono sicuri e in più ma manca l’elemento fondamentale: la prova che quella ipotetica mazzetta sia finita per davvero nelle mani di Bertolaso. L’altro esempio riguarda i verbali di conversazioni telefoniche registrate perfino mentre Bertolaso stava coordinando la macchina dei soccorsi a L’Aquila, pochi istanti dopo il terremoto che ha devastato la città e seppellito tra le macerie più di duecento morti. Cosa c’entrano i colloqui concitati di quei momenti col faldone aperto dalla procura di Firenze sugli appalti al G8 della Maddalena?  

Accade oggi che nella stessa inchiesta i pm hanno chiamato in causa il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini al quale il premier Berlusconi ha manifestato “grande solidarietà”. In questo caso, tra gli atti allegati all’inchiesta finiscono pure le conversazioni della moglie con Riccardo Fusi presidente della Btp e a sua volta indagato. Un “mio carissimo amico da tanti anni” lo definisce Verdini nel colloquio avuto con i magistrati fiorentini e con l’amico di famiglia la moglie parla della sistemazione dei figli in un albergo.  Ma pure questo aspetto finisce nel tritacarne mediatico-giudiziario o nella “pesca a strascico della gogna e dei processi mediatici” per dirla con il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello. 

Il che non significa negare alla magistratura di condurre inchieste e indagare persone, bensì rivendicare l’importanza di un uso appropriato degli strumenti investigativi. E’ su questo che si concentra il ragionamento di Quagliariello quando premette che da parte del Pdl “non verrà mai una negazione del diritto dell’autorità giudiziaria di svolgere inchieste”,  pur tuttavia conservando “una memoria della storia recente, non possiamo non manifestare preoccupazione di fronte a qualcosa che ricorda troppo da vicino la pratica della pesca a strascico, della gogna e dei processi mediatici”. Un aspetto che per l’esponente Pdl “non può non suscitare seri interrogativi in chi, per cultura e per rispetto dei diritti fondamentali di ogni cittadino, ritiene che la credibilità della magistratura e delle sue inchieste abbia tutto da guadagnare da un utilizzo appropriato degli strumenti di indagine, dal rifiuto di qualsiasi logica mediatica, e dall’assunzione di iniziative, o dalla produzione di atti, che per tempistica e per continenza siano al di sopra di ogni sospetto”.

Analoghi rilievi critici che il senatore del Pdl Marcello Pera mette in fila quando parla di “degenerazione nelle stanze della giustizia” e si domanda “cosa abbiano a che fare con l’inchiesta le registrazioni telefoniche” di cronache di “ordinaria conversazione familiare tra una madre apprensiva verso i figli e un amico di famiglia”. L’ex presidente del Senato si chiede poi se “sia professionale quella procura che le ha disposte, pagate, trascritte, passate ai giornali e allegate al fascicolo? Quali esigenze giudiziarie il procuratore intendeva soddisfare origliando al telefono di un ragazzo? Mi rispondo da solo. Primo, i procuratori non sanno più e non vogliono più fare indagini. A loro basta ascoltare al telefono chiunque e comunque, tanto una legge che li costringa ad un minimo di professionalità non verrà mai approvata”. Secondo, i procuratori sanno che la loro carriera sarà garantita in ogni caso, tanto le loro telefonate per appaltarsi le promozioni non verranno mai pubblicate. Terzo, c’è un degrado allarmante nel costume pubblico, ma c’è una degenerazione anche più grave nelle stanze della giustizia. Chi non vede il primo è cieco, chi ignora la seconda è ipocrita e colpevole”.  

E di “uso barbarico” delle intercettazioni parla anche il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto che indica nella pubblicazione di conversazioni telefoniche “riguardanti la vita privata dei familiari di Denis Verdini” l’indice di come viene gestito “questo micidiale strumento su cui il dottor  Ingroia ha scritto un aureo libretto. Ovviamente sulle intercettazioni non vale il segreto istruttorio che ormai è una sorta di ‘pseudo-concetto’”.