Verdini se n’è ghiuto e soli li ha lasciati!
24 Luglio 2015
di Andrea Spiri
E così, dopo mesi di tira e molla, musi lunghi e battute al vetriolo veicolate a mezzo stampa ("cerchio magico" versus "cerchio tragico"), riunioni di partito disertate e improbabili pranzi di riconciliazione, Denis Verdini scioglie la riserva: bye bye Silvio, l’avventura politica prosegue sotto nuove insegne.
Berlusconi perde un altro pezzo di partito, magari con gran sollievo degli strateghi del "meno siamo, meglio stiamo", ma il discorso appare assai più complesso di come lo dipingono coloro che, dietro le quinte, anziché interrogarsi sulle ragioni della rottura, la derubricano sic et simpliciter a un episodio di trasformismo a cui l’agonizzante Seconda Repubblica avrebbe ormai fatto l’abitudine.
Verdini ha rappresentato la quintessenza del berlusconismo inteso come capacità di gestione del potere politico, era l’uomo dei numeri (pur se a fasi alterne, come ricorda Fabrizio Cicchitto, cui si deve la battuta: "Denis ama i numeri, ma non ne è riamato"), l’abile tessitore di equilibri parlamentari (chi non ricorda il voto di fiducia al governo Berlusconi del dicembre 2010 ?), il timbro posto sulle liste elettorali, il motore organizzativo del Pdl di cui, non a caso, era uno dei triumviri, l’ultimo ancora rimasto alla corte di Arcore.
Sandro Bondi se n’è andato già da tempo, lamentando la "miseria umana" dei suoi compagni di un tempo, e ancor di più la "mancanza di visione strategica" della nuova Forza Italia. L’uno, il cantore dallo stile colto, poeta consacratosi all’adorazione del leader carismatico, era l’immagine speculare dell’altro, il "toscanaccio" un po’ burbero e lontano dai riflettori, cui ha sempre preferito il lavoro pancia a terra per lubrificare gli ingranaggi di una macchina partito chiamata a tenere il passo del presidente alle prese coi problemi del governo.
Speculari e complementari, simboli, entrambi, di una leadership berlusconiana a tutto tondo, capace di appassionare i cuori e di esercitare il potere quotidiano, di celebrare la rivoluzione liberale e di ritrovare in parlamento le maggioranze perdute.
A differenza di Bondi, protagonista di un distacco in coppia ma dai contorni solitari, l’uscita di Verdini fa certo più rumore, e non solo perché apre le porte alla costituzione in Senato di un nuovo gruppo parlamentare. Qui gli effetti del discorso, da simbolico, tendono a sovrapporsi alle conseguenze politiche della scelta maturata.
Verdini rompe con Berlusconi perché convinto che occorra ridare linfa al "patto del Nazareno", stipulato, a quel che a noi comuni mortali hanno spiegato, per procedere in maniera condivisa all’ammodernamento dell’impianto istituzionale dello Stato. Ebbene, questa rottura contribuisce a fare chiarezza, certificando che l’accordo costituente siglato ai tempi del governo Letta è materia da libro dei sogni (con buona pace dei retroscenisti che scommettevano sulla ridefinizione dei contorni dell’intesa puntando proprio sull’ambiguità del Verdini bifronte, un piede dentro al partito azzurro e un filo diretto, mai interrotto, con Palazzo Chigi).
Spalancando le porte all’uscita di Verdini (sia detto per inciso, non credo all’operazione teatrale che pure qualcuno adombra), Berlusconi sceglie la strada dell’irrilevanza politica, clamorosamente persuaso che lasciare tutto lo spazio agli slogan leghisti sia preferibile al faticoso lavoro di tessitura di una strategia politica responsabile e coerente, pur nella stagione mutata, con principi e valori del tempo che fu.
Il leader di quel che resta di Forza Italia, ormai prossima a divenire "Altra Italia" (pardon, quale ?), ufficializza il proposito di abdicare, qualora ve ne fosse ancora dubbio, al ruolo di soggetto che possa ambire a rappresentare, al pari di altri, le istanze moderate, la vocazione di governo che Berlusconi ha sempre mantenuto. E quando le riforme dello Stato saranno finalmente approvate, vallo a spiegare agli elettori che è tutta fuffa che pure hai contribuito a mettere nero su bianco, cerca di trovare le parole per giustificare una battaglia referendaria sposando al contempo le argomentazioni di Grillo e quelle di Vendola e Civati.
Tornando all’addio di Verdini, sarebbe sin troppo facile, oggi, usare la leva del sarcasmo, orientare il discorso sul fatto che altri, in tempi non sospetti, avevano intuito che il vuoto di elaborazione ideale e programmatica non permettesse ulteriori tentennamenti. Non è il momento del "ve l’avevamo detto". Bondi e Verdini (il caso di Fitto è ancora diverso) prendono atto che una stagione politica è giunta all’epilogo, che la dissoluzione di una leadership carismatica ha lasciato dietro di se, drammaticamente, soltanto macerie.
E’ possibile che Bondi e Verdini non abbiano prospettive politiche, che si limitino a galleggiare. Ma quale futuro potrà avere Forza Italia (e l’Altra Italia), se non quello di rappresentare un’appendice del lepenismo in salsa nostrana?