Verso le elezioni: il futuro del Libano tra Occidente e Asse del Male

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Verso le elezioni: il futuro del Libano tra Occidente e Asse del Male

02 Maggio 2009

La data del 7 giugno si avvicina e in Libano siamo ormai alle grandi manovre in vista delle elezioni programmate per quella data. All’appuntamento si presentano compatte le due coalizioni consolidatisi nel corso degli ultimi anni. Da una parte l’Alleanza del 14 marzo che comprende il sunnita Movimento del futuro di Saad Hariri e dell’attuale premier Fouad Siniora, il Partito Socialista Progressista druso di Walid Jumblatt, e l’ala cristiana composta dalle Forze Libanesi di Samir Gegea e dalle Falangi di Amin Gemayel. Dall’altra, l’Alleanza dell’8 marzo che vede con Hezbollah gli sciiti di Amal, guidati dallo speaker del Parlamento Nabih Berri, e i cristiani del Movimento Patriottico Libero del generale Michelle Aoun. Le previsioni della vigilia danno per favorita la coalizione dell’8 marzo, spinta in particolare dall’annunciato pieno di voti per Hezbollah.

Il Partito di Dio sta conducendo una campagna elettorale giudicata da molti prudente, quasi di basso profilo. Ad onor del vero, l’atteggiamento di Hezbollah sembra piuttosto sornione. Nasrallah e Kassem sentono la vittoria nell’aria e non vogliono colpi di testa. Del resto Hezbollah è un movimento politico-militare al quale pragmatismo, ed eccellenti doti di strategia politica, non fanno difetto. Le parole di Nasrallah pronunciate le scorse settimane riassumono al meglio questo approccio. Il numero uno di Hezbollah ha voluto far sapere che nel caso di vittoria alle elezioni, la minoranza verrebbe lo stesso invitata ad entrare in un governo di unità nazionale. Un ramoscello di ulivo agitato da chi la sa lunga. Il Partito di Dio teme che una vittoria sua e dei suoi alleati alle prossime elezioni, e la costituzione di un governo senza l’apporto della minoranza, possa tradursi nel boicottaggio del Libano da parte della comunità internazionale. Esattamente quanto accaduto all’ANP dopo la vittoria elettorale di Hamas nel 2006. Cosa che Nasrallah assolutamente non vuole. E così lo sceicco ha messo le mani avanti sgomberando il campo da equivoci circa le reali intenzioni del suo movimento sul comportamento da tenere dopo un’eventuale vittoria elettorale.

Del resto Hezbollah non ha nessun interesse a gestire da solo, e con i suoi alleati, il potere. Si esporrebbe troppo. E per questo preferisce giocare sotto traccia nel quadro di un governo di unità nazionale dove comunque, grazie al diritto di veto, può interdire qualsiasi decisione contraria ai propri interessi. In questo modo ne trae legittimazione il suo potenziale militare, che così viene fatto passare come un pilastro della sovranità libanese. Perché alla fine è questo il vero interesse che Hezbollah, e il suo grande protettore iraniano, hanno: la conservazione dell’apparato militare. I fatti del maggio 2008 l’hanno ampiamente dimostrato. Hezbollah si è scatenato contro il governo Sinora perché questo aveva toccato un suo interesse strategico preciso – dichiarandone illegale la sua rete telefonica nel Paese e rimuovendone un uomo dalla guida della sicurezza dell’aeroporto di Beirut – ed ha premuto l’acceleratore finché non ha ottenuto una marcia indietro e il diritto di veto in seno al governo.

A livello internazionale, Hezbollah si sente già troppo nell’occhio del ciclone, soprattutto a causa dell’accesa querelle con l’Egitto. Lo scorso dicembre le forze di sicurezza del Cairo hanno arrestato 49 uomini ritenuti vicini al movimento, con l’accusa di programmare attentati contro obiettivi ebraici nel Sinai e contro obiettivi governativi egiziani. La notizia è stata resa pubblica solo a metà aprile e ha visto il governo egiziano, tramite il solitamente prudente ministro degli Esteri Ahmed Abul-Gheit, puntare direttamente il dito contro l’Iran accusato di utilizzare Hezbollah come strumento per espandere la propria influenza in tutto il mondo arabo, a cominciare ovviamente dall’Egitto. Gli strali del ministro sono stati accompagnati da una campagna di stampa durissima da parte dei quotidiani egiziani – spalleggiati dagli organi d’informazione sauditi – che ha messo a dura prova Hezbollah. Il quale, per bocca del suo leader Nasrallah, ha respinto al mittente le accuse, giudicandole un tentativo di condizionare il risultato delle elezioni libanesi, pur confermando che uno degli arrestati era un suo uomo in missione logistica nel Sinai per far passare armi ad Hamas. In soccorso di Hezbollah è giunta subito Teheran, che ha criticato pesantemente l’abbaglio che avrebbe preso il governo egiziano.

Fuochi di artificio che confermano ciò che veramente ruota attorno all’appuntamento elettorale libanese del 7 giugno. I paesi sunniti filo-occidentali, guidati da Egitto e Arabia Saudita, vedono come il fumo negli occhi un’eventuale affermazione di Hezbollah che, a loro detta, non farebbe altro che incrementare la già debordante influenza iraniana in tutta la regione. Il giornale saudita Al Watan, di proprietà del governatore di La Mecca Khaled Al Feysal, è stato a tal proposito molto esplicito e ancora pochi giorni fa scriveva che l’interferenza iraniana “è qualcosa che nessun paese arabo può tollerare”.

A rasserenare il quadro, ci ha provato il segretario di Stato americano Hillary Clinton, che domenica scorsa si è recata a Beirut dove ha lanciato un appello per “elezioni eque e trasparenti" e per un Libano “sovrano e indipendente". "Il voto deve svolgersi fuori dal circolo della violenza e delle interferenze straniere per consentire alla gente di scegliere i propri rappresentanti pacificamente", parole queste che non sono state prese benissimo da Hezbollah e dai suoi alleati. Il lavoro sporco è stato affidato al generalissimo Aoun, che di rimando ha affermato che il primo esempio d’interferenza sono state proprio le parole della signora segretario di Stato. Un cane che si morde la coda, allora. Nella migliore tradizione libanese.