Vi racconto che mi è successo quando non firmai l’appello pro-Battisti
09 Gennaio 2011
Da Roberto Saviano (che poi ha rinnegato il suo appoggio) a Fred Vargas, la lista di scrittori che hanno sostenuto l’assassino Cesare Battisti è lunghissima. Comprende autori che numerose famiglie italiane hanno nella propria libreria, gente che firma su prestigiosi quotidiani, come Daniel Pennac. Eppure non c’è niente da stupirsi. La fascinazione degli intellettuali per i cattivi è cosa da manuale di storia.
Lo studioso "liberal" Mark Lilla, uno dei migliori cervelli in circolazione negli Stati Uniti, ha scritto un libro meraviglioso intitolato Il genio avventato, tradotto da poco in Italia per Baldini e Castoldi. Prende in esame le vicende di alcuni dei maggiori pensatori del secolo scorso, da Ernst Junger a Martin Heidegger. Giganti che hanno consegnato al mondo opere memorabili, imprescindibili, eppure hanno appoggiato il nazismo. Lilla cerca di capire come sia stato possibile e parla di una sorta di tensione erotica presente nei movimenti politici estremi i quali poi sfociano nelle dittature.
Per quanto riguarda il caso Battisti, tuttavia, forse la soluzione è più semplice. Molti hanno firmato il famigerato appello del 2004 promosso dalla rivista Carmilla perché negli ambienti che frequentavano andava per la maggiore. Chi scrive ne sa qualcosa. Scusate se uso la prima persona, però voglio raccontare un episodio che mi riguarda. All’epoca cercavo di esordire come scrittore. Pubblicai diversi racconti su varie riviste e ne inviai uno anche a Carmilla, web magazine gestito da Valerio Evangelisti, autore che stimavo particolarmente e che continuo tuttora a stimare. Il racconto fu accettato, lo lesse Giuseppe Genna – altro scrittore di fama – il quale mi inviò pure una mail di complimenti. Non mi importava l’orientamento politico di Carmilla, mi interessava soltanto la buona qualità dei racconti che pubblicava. Nel frattempo, la rivista continuava la sua battaglia a favore di Battisti.
Lessi quel che c’era da leggere in merito e mi convinsi che qualcosa non andava. Allora proposi di pubblicare un’intervista a un giornalista – di sinistra – il quale aveva scritto a proposito dell’ex componente dei Proletari armati. Per quanto antiberlusconiano, il giornalista sosteneva che Battisti fosse niente più che un criminale. L’intervista fu rifiutata, tramite una lunga mail in cui il cronista in questione veniva definito "uno stronzo". Da allora, nessuno della redazione di Carmilla ha più risposto alle mie email. Eppure mi consideravano, fino a qualche momento prima, uno scrittore di qualche valore.
La colpa, ovviamente, è tutta mia. Sono stato ingenuo a pensare che la – minima – qualità del mio racconto bastasse. L’impegno politico contava molto di più. Evidentemente, dal mio scritto – che trattava dell’Undici settembre – la redazione aveva dedotto un’appartenenza ideologica alla sinistra. Dunque ero ben accetto. Quando è stato chiaro che il mio pensiero era differente, tanti saluti.
La storia che ho raccontato, in sé, è irrilevante. Eppure è emblematica. Perché dà l’idea dell’ambiente in cui si muovono gli scrittori italiani. Un ambiente, appunto, ideologizzato e sordo alla diversità d’opinioni, in cui per essere considerati occorre manifestare un pensiero a senso unico.
Se per Junger e Heidegger c’era qualcosa di nobile persino nell’adesione al nazismo, i nostri intellettuali raccolgono ciò che seminano, passando direttamente dalla tragedia alla farsa. Non appoggiano Hitler, ma Battisti. Ridicoli loro, penoso lui. Tanto è lontano dal male supremo l’ex Pac quanto sono lontani gli scribacchini di casa nostra dalla grandezza.