“Vi racconto come ho fatto a far cadere il Muro di Berlino”

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“Vi racconto come ho fatto a far cadere il Muro di Berlino”

04 Novembre 2009

Il 9 novembre 1989, Riccardo Ehrman ricevette una telefonata in codice da Günter Pötschke, un membro del comitato centrale del partito comunista in Germania Est. Ehrman era il corrispondente dell’ANSA a Berlino e il giorno successivo avrebbe dovuto partecipare a una conferenza stampa con il ministero della Propaganda della DDR, Günter Schabowski. La sua fonte gli consigliò di fare al ministro “una domanda sulla libertà di viaggio”. Ehrman seguì il consiglio e chiese a Schabowski quando sarebbero state tolte le restrizioni di viaggio ai cittadini della Germania Orientale. “Credo anche subito”, fu la risposta. A quel punto un brivido percorse la schiena del giornalista italiano. Il Muro di Berlino stava per cadere. A vent’anni di distanza abbiamo raggiunto Ehrman, che oggi vive in Spagna, per farci raccontare com’è andata quella giornata storica.         

Dottor Ehrman, quanto è stata importante quella domanda?

La cosa che mi sorprende ancora oggi è che i molti colleghi presenti, in maggioranza tedeschi, non abbiano capito immediatamente come ho fatto io che la risposta del ministro della Propaganda significava la caduta del Muro.

Perché la sorprende?

Sia le agenzie che le televisioni tedesche hanno continuano a lungo a parlare di “alleggerimenti nelle leggi sui viaggi”, e molto tempo dopo hanno scritto “la DDR apre la frontiere”, ma non hanno associato l’apertura delle frontiere alla imminente caduta del Muro.

Era così evidente?

Il Muro fu costruito nell’agosto del 1961 proprio per impedire agli sfortunati tedeschi orientali di passare ad Ovest.

Com’era la vita di un giornalista occidentale a quei tempi a Berlino Est?

Si lavorava come facevano tutti i colleghi nei Paesi comunisti. Sotto controllo personale e professionale. Tutti i dispacci che inviavamo venivano regolarmente controllati. Se c’era qualcosa che non piaceva al regime un minuto dopo qualcuno del ministero degli esteri telefonava dicendo “guardi che lei ha detto qualcosa di inesatto” oppure “dovrebbe rettificare le sue dichiarazioni”.

Quando Potschke le telefonò, per consigliarle di fare la fatidica domanda a Schabowski, le disse “Sono l’uomo del sottomarino”…

Be’, lo fece perché anche lui, come me, era sotto controllo. Eravamo tutti sotto controllo. Per eludere l’identificazione da parte di chi era preposto all’ascolto, Potschke decise di usare questo sotterfugio. Il "sottomarino" era il nome in codice della sede in cui si trovava l’agenzia stampa della DDR.     

Quanto le è servito avere una fonte confidenziale come Potschke?

Sono stato io a rivelare l’identità della mia fonte, ma l’ho fatto solo dopo che ho saputo della sua morte. Decisi di rivelarlo perché volevo far capire che, negli 11 anni che ho trascorso a Berlino Est, non mi sono mai lasciato tentare da quell’atmosfera di "odio e amore" a cui si erano assoggettati gli altri colleghi occidentali.

Si spieghi meglio

A quell’epoca il nostro presidente del consiglio, Giulio Andreotti, aveva fatto alcune dichiarazioni favorevoli all’esistenza della DDR. Andreotti si era ispirato alle parole di André Malraux, lo scrittore francese che una volta disse “Amo tanto la Germania da preferire che ce ne siano due”, e magari ne avrebbe volute anche di più. Andreotti non la mise proprio in questi termini, ma lasciò capire che all’Italia non dispiaceva la Germania Orientale…

Cosa ci guadagnava l’Italia?

La posizione di Andreotti ci ha procurato dei contratti molto importanti. Ne cito solo uno: la costruzione di una acciaieria, a Brandenburgo, che esiste ancora oggi, e che fu costruita da una ditta di Udine con maestranze italiane, fruttando miliardi.

Un classico della nostra politica estera

Già…

In seguito ci sono stati dei giornali tedeschi che l’hanno accusata di aver fatto una “domanda ammaestrata”, insomma che era uno strumento in mano ai comunisti

Non è assolutamente vero, anche perché non si capisce perché un qualsiasi regime, anche comunista, dovrebbe avere bisogno delle domande di un giornalista per fare un annuncio così importante come la caduta del Muro.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, almeno in Italia, c’era una forte fascinazione culturale verso Berlino Est. E’ come se nessuno si aspettasse la caduta del Muro…

I Tedeschi hanno questa tendenza a voler eternizzare le cose. Non dimentichi che il malaugurato Hitler parlava del Reich di mille anni, anche se poi anche il Reich, per fortuna, non è durato molto. Come il Muro di Berlino. Quando feci quella domanda la DDR aveva i giorni contati, non solo per la repressione ai danni dei propri cittadini ma soprattutto per l’economia che era in un totale fallimento.

Se non ci fosse stata la sua domanda crede che il Muro sarebbe caduto più tardi?

Mah… è possibile che Schabowski abbia fatto un errore anticipando di qualche ora il momento della riapertura delle frontiere, ma in ogni caso la decisione era presa e non ci sarebbero stati altri ritardi.