“Vi spiego le ombre del pentimento di Spatuzza”
09 Dicembre 2009
“Non si può credere acriticamente alla genuinità di un pentimento come quello di Spatuzza”: Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori del Pdl, ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Interno proprio affinché “sia fatta chiarezza sulle condizioni nelle quali il pentimento è avvenuto”.
Non la convince che Spatuzza non abbia mai rotto coi clan?
Non solo. C’è tutto un contesto in cui è maturato suo pentimento in cui le influenze esterne sono eccessive. Ripercorrendo il suo racconto emerge che tra il 2004 e il 2005, prima di essere folgorato sulla via del pentimento, detenuto nel carcere di Tolmezzo, in alcuni periodi anche in regime di isolamento, Spatuzza veniva a sapere da Pippo Calò, anch’egli detenuto, di presunte dissociazioni in corso all’interno di Cosa Nostra. Poi, sempre in carcere, ne discuteva col suo ex padrino Filippo Graviano, dalle finestre o durante le passeggiate. Sempre dal suo racconto emerge che, poco dopo, Spatuzza convocato dall’allora procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna, declinava l’invito a collaborare. Ma rientrato in galera riferiva a Filippo Graviano del colloquio investigativo con Vigna, si consultava con lui, e otteneva in cambio un messaggio da trasmettere al fratello Giuseppe Graviano.
Quindi pensa che le dichiarazioni di Spatuzza non siano genuine.
Ho presentato un’interrogazione parlamentare affinché vengano fatte le opportune verifiche. M al di là dell’attendibilità di Spatuzza, mi sembra che di questa disposizione si potesse fare a meno, perché Spatuzza non ha riferito un solo fatto. Se proprio si doveva, si sarebbe fatta migliore figura depositando gli atti al processo e interrogando direttamente i Graviano.
Per Micciché Spatuzza è stato pagato dai magistrati.
Io non l’ho mai pensato. Meglio fermarsi alle parole di Spatuzza: sono più inquietanti di ogni altra ipotesi. Fermo restando che la ricostruzione offerta da Spatuzza fa acqua innanzitutto dal punto di vista storico.
Si spieghi meglio.
Spatuzza sostiene che i rapporti con Berlusconi nascerebbero, a partire dal luglio ’93, dalla delusione della mafia dopo aver appoggiato i socialisti alla fine degli anni Ottanta. Ricordo che nel ’93 il pentapartito era già a apezzi; che alle amministrative in Sicilia vincono le sinistre, a Palermo e a Catania, ed è più probabile la loro vittoria su scala nazionale. Forza Italia non è ancora nata. È il periodo in cui il professor Urbani sottopone all’attenzione di Berlusconi e di altri uno studio che attesta che c’è uno spazio per una forza moderata. Quindi come è possibile che chi non ha in mano il paese ha il potere necessario per stringere accordi con la mafia? E viceversa: che interesse ha la mafia a fare accordi con chi non ha in mano il paese? Questo interrogativo storico è insuperabile.
Secondo la sua ricostruzione anche la deposizione dei Graviano non serve.
Il racconto di Spatuzza sui conciliaboli in carcere getta un’ombra sulla loro testimonianza. Ma al fondo dello scontro mediatico che ha fatto parlare di bombe a proposito di una deposizione che si è rivelata meno di un petardo c’è l’emergere di due “antimafie”. La prima è l’antimafia dello Stato: il governo innanzitutto, poi le forze dell’ordine e magistratura, che dall’inizio della legislatura arrestano otto mafiosi al giorno. Poi c’è l’antimafia dei “professionisti”, per dirla con Sciascia, che ha un’altra preoccupazione: riscrivere la storia d’Italia ricostruendo l’egemonia delle forze moderate come il frutto di una storia criminale.
Come nel caso del processo Andreotti?
Esatto. Temo che non si sta cercando una verità processuale ma che vi sia una strategia mediatica per gettare fango su Berlusconi e, magari, chiudere un ciclo politico. Ieri c’è stato Spatuzza, domani i Graviano, poi il confronto Spatuzza-Graviano fino a che non si stabilirà l’equazione tra Berlusconi e la mafia.
C’è una manina o una manona dietro l’operazione?
Non penso che certe coincidenze siano casuali. I tamburi che annunciavano Spatuzza hanno cominciato a rullare da settimane. E il giorno dopo la deposizione era previsto il no-B day. Si vuole tenere alta la tensione mediatica al punto che oggi (ieri, ndr), pur di scrivere qualcosa, Repubblica apre con una notizia del tutto falsa come quella del processo breve esteso ai mafiosi.
Come se ne esce?
Bisogna avere sempre presente il senso dello Stato. Per questo indico tre priorità: la riforma organica della giustizia in cui ci siano anche giusti tempi per i processi; evitare uno scontro frontale tra politica e giustizia; ripristinare, a livello costituzionale, quell’equilibrio venuto meno con l’abolizione dell’articolo ’68 della Costituzione, anche ricorrendo ad altre soluzioni. Significherebbe chiudere un pezzo della transizione italiana.
Vede possibile un dialogo col Pd?
Ho notato che, negli ultimi giorni, in ampi settori del Pd c’è una consapevolezza di questa posta in gioco anche maggiore di quella che c’è in estemporanee posizioni di esponenti del Pdl, come alcuni membri dell’Antimafia. E con questa consapevolezza dobbiamo essere in grado di dialogare, sia pur nella differenza di ruoli e responsabilità. (Tratto da Il Riformista)