Viaggio a Sana’a, tra negozi vuoti e nuovi disoccupati
30 Gennaio 2010
di redazione
Negozi semi-deserti, tavoli dei ristoranti sempre liberi, nessuno che chieda i servizi di guide turistiche o insegnanti di arabo. A Sana’a è la piccola economia, quella dei bottegai, dei ristoratori e dei maestri di lingua, la prima vittima del caos interno, che ha raggiunto il suo picco quando il giovane nigeriano Umar Farouk Abdulmuttallab, ex studente di arabo nella capitale yemenita, ha cercato di farsi esplodere su un volo Amsterdam-Detroit il giorno di Natale.
Lo storico chiosco delle spremute di frutta su Piazza della Liberazione, in genere affollato di studenti stranieri, non vede un cliente da giorni, così come i negozi di generi alimentari nei pressi degli istituti di lingua. "Portavo sempre gli studenti al ristorante Dubai, vicino al Center for Arabic Language and Eastern Studies (Cales), dove lavoravo, ma ora non ci va più nessuno", racconta ad AKI Abdul Razzaq Muhammad Rizq, 22enne che lavorava al Cales come guida per gli studenti stranieri. Ma dopo la cancellazione di molte iscrizioni, anche l’istituto è entrato in crisi e lo ha licenziato. "Mi piaceva il modo in cui la gente mi guardava quando andavo in giro con gli stranieri, mi sentivo importante – racconta – Ora invece vado in giro da solo, passo le giornate a cercare un lavoro, ma alla fine mi ritrovo puntualmente con i miei amici a masticare Qat e non fare nulla".
Anche il padre di Abdul lavorava al Cales, si occupava di visti e altre questioni burocratiche. "Ma anche lui è stato licenziato – spiega il giovane – ed è ritornato al villaggio a sud di Sana’a da dove veniamo". Hamud, 35 anni, si guadagnava da vivere organizzando gite fuori Sana’a per gli studenti stranieri, tra cui quelli del Cales e dello Yemen Institute for the Arabic Language (Yial), dove la scorsa estate ha studiato il nigeriano Abdulmutallab. Ma dopo il fallito attentato di Natale, "non ci sono più studenti – dice ad AKI – e sono tornato a fare il meccanico a tempo pieno. Si fa fatica – aggiunge – non riesco a guadagnare abbastanza per mantenere me e la mia famiglia".
Le scuole di arabo cercano di correre ai ripari, per evitare la chiusura definitiva. Il Cales ha anche creato un gruppo su Facebook per farsi pubblicità e ha ideato piani di formazione on-line. Ma la scomparsa di studenti e turisti sul posto non è un colpo facile da parare. "Niente più studenti, niente più lavoro, niente più soldi". Per Abdul l’equazione è tanto semplice quanto drammatica. Il giovane non si spiega come il gesto di un folle abbia potuto far sì che l’attenzione del mondo si rivolgesse verso lo Yemen, facendo improvvisamente emergere situazioni con cui il Paese convive da anni.
"La guerra di Sa’ada e i problemi nel nord (lungo il confine con l’Arabia Saudita, dove combattono i ribelli sciiti ‘hawthiti’, ndr) esistono da anni – dice – e il sud (dove operano gli indipendentisti e dove i terroristi di al-Qaeda hanno creato le loro basi, ndr) da tempo non è un luogo sicuro e per gli stranieri è meglio non andarci". "Ma Sana’a non è cambiata, è quella di qualche mese fa – assicura – la gente è sempre ospitale, questo non è un covo di terroristi, solo chi non conosce il paese può pensarlo".
"Qui a Sana’a non esistono crimini di strada – prosegue – molti studenti stranieri che ho conosciuto mi hanno detto che le città da cui venivano, in Europa, in America o in Asia, sono molto più pericolose". Infine il giovane rivolge un appello a tutti coloro che "giudicano lo Yemen senza conoscerlo, proprio come fanno gli estremisti che puntano il dito contro America ed Europa senza esserci mai stati": "Non chiudete la porta senza sapere cosa c’è dietro – dice – Lo Yemen vi aspetta".