Vian prenda esempio da Boffo e si dimetta
04 Febbraio 2010
di redazione
“Su un punto sembrano sussistere pochi dubbi – scrive oggi Giuliano Ferrara su il Foglio – la decapitazione di chi mise pubblicamente, e sul Corriere della Sera, il suggello del Vaticano sulla violenta calunnia contro Boffo, il professore di vanità Gian Maria Vian, è questione di ore, di giorni o di pochi mesi. Sempre che la chiesa voglia bene a se stessa e al suo ministero”.
Ferrara ha avuto il coraggio, nei giorni scorsi, di far risuonare il nome del direttore dell’Osservatore Romano sul proscenio del “caso Boffo”. Erano ormai troppi gli indizi – anche l’Occidentale a suo tempo ne aveva evocati alcuni – che lo indicavano come suggeritore di Vittorio Feltri nella campagna di stampa che portò alle dimissioni del direttore dell’Avvenire.
Ora tocca a Vian dimettersi. Non ci interessa, o meglio non vogliamo sapere, se il tramestio vaticano che gli si addebita sia vero o falso. Non vogliamo sapere se veramente Vian sia stato la pedina di un gioco di potere interno alla Santa Sede che vedeva il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, mosso dall’ambizione di prendere il controllo dei rapporti con la politica italiana sfuggiti alla presa di Camillo Ruini ma ancora ben presidiati da Dino Boffo. Sarebbe una curiosità da pagare con un prezzo troppo alto.
Gian Maria Vian dovrebbe dimostrare la sua estraneità a tutto questo e lasciare che la Chiesa rimargini col tempo e col silenzio le sue ferite, uscendo al più presto di scena. Lo invitiamo a questa mossa, per quello che vale il nostro invito, proprio perché vogliamo dar credito alla sua innocenza. Ma questa non si dimostra con l’indignazione e con la supponenza, neppure quando è il Corriere della Sera a far da spalla ai propri eventuali torti.
Vian dovrebbe prendere esempio dal suo mentore e amico Boffo, che lasciò la direzione dell’Avvenire esattamente con questo spirito. Anzi potrebbe usare, scrivendo la lettera di dimissioni, le stesse parole di Boffo: “La Chiesa ha altro da fare che difendere a oltranza una persona per quanto gratuitamente bersagliata. Per questi motivi, Eminenza carissima, sono arrivato alla serena e lucida determinazione di dimettermi irrevocabilmente (…) Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora, per giorni e giorni, una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani, quasi non ci fossero problemi più seri e più incombenti e più invasivi che le scaramucce di un giornale contro un altro. E poi ci lamentiamo che la gente si disaffeziona ai giornali: cos’altro dovrebbe fare, premiarci? So bene che qualcuno, più impudico di sempre – aggiunge -, dirà che scappo, ma io in realtà resto dove idealmente e moralmente sono sempre stato. Nessuna ironia, nessuna calunnia, nessuno sfregamento di mani che da qui in poi si registrerà potrà turbarmi o sviare il senso di questa decisione presa con distacco da me e considerando anzitutto gli interessi della mia Chiesa e del mio amato Paese.”
Questo scrisse Boffo ad Angelo Bagnasco lo scorso 3 settembre e questo potrebbe scrivere Vian a Tarcisio Bertone, suo diretto superiore, nel lasciare la direzione dell’Osservatore Romano. Sarebbe un grande regalo fatto alla Chiesa e alla sua integrità, alle gerarchie e alle loro inadeguatezze e al Papa stesso, che proprio ieri nell’udienza generale aveva detto: “molti con ruoli di responsabilità nella Chiesa lavorano unicamente per se stessi e per la carriera e non per la comunità”.
Boffo, dimettendosi senza portare – come poi si è visto – alcuna colpa, ha dimostrato di lavorare per la comunità dei credenti, ora tocca ad altri fornire la stessa dimostrazione.
Gian Maria Vian si era vantato nella sua ormai celebre intervista al Corriere di incarnare una visione sommessa e prudente della Chiesa negli affari italiani. Niente protagonismi sui temi bioetici, misura e marginalità su tutti i tavoli della politica, assenza dal pubblico agone e dalle coscienze civili dei fedeli. Poi certo le partite del dare e dell’avere si potevano regolare nelle segrete stanze del potere. Era l’esatto contrario dell’approccio ruiniano, pronto a correre il rischio fin dentro le urne del referendum sulla procreazione assistita e a chiamare su questo a raccolta il voto dei cattolici. E non è difficile capire perché il Corriere della Sera abbia sposato l’operazione anti-Boffo: una chiesa silente in pubblico e pronta ai compromessi in privato è esattamente ciò che serve alle utopie centriste e post-berlusconiane del laicismo chic che incrocia tra Milano, Roma e Todi.
E davvero solo Giuseppe D’Avanzo con la sua preoccupante mania ossessiva può credere che sull’esecuzione di Boffo possa esserci il marchio di Berlusconi. Sorprende piuttosto come il centro-destra, Cav. e Feltri compresi, si siano a lungo baloccati con l’idea che il caso Boffo fosse un episodio marginale, un piccolo incidente di percorso frutto di una svista giornalistica, qualcosa da recuperare con una lettera di scuse e un salto in Vaticano. E non si siano invece resi conto di quale terribile meccanismo si fosse messo in moto.
Vian aiuti la Chiesa a riavvolgere questo brutto film. Bastano poche righe: di commiato.