Violazione di domicilio
04 Giugno 2008
La Violazione di domicilio è il reato previsto dagil artt.614 e 615 del codice penale, che punisce, a querela di parte, chiunque "si introduce o si trattiene nell’abitazione altrui, o in altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si introduce clandestinamente o con l’inganno".
A me sembra che il reato di violazione di domicilio sia molto simile a quello che il governo avrebbe voluto introdurre in relazione alla clandestinità. Sono le parole stesse del codice a suggerirlo: il reato consiste nell’entrare in luogo “contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo”. In questo caso lo Stato ha evidente il diritto di escludere dal proprio luogo chi non rispetta determinati requisiti: passaporto valido, permesso di soggiorno ecc…
Il parallelo è ancora più forte quando il codice evoca la “clandestinità e l’inganno”, cioè l’entrare in luogo di nascosto, non dall’ingresso consentito e magari fornendo motivi e credenziali false.
Chi viola il domicilio altrui è condannato con la reclusione fino a tre anni, ma se al fatto è associata qualche forma di violenza, fino a cinque.
La sostanza è la stessa: per entrare a casa di altri devi essere invitato, chieder permesso e rispettare le regole degli ospiti. Forse giuristi ed esperti avranno di che obiettare, ma credo che la gente senta nettamente l’analogia.
In molti paesi civili e democratici, l’America, la Germania, “violare il domicilio” nazionale costituisce un reato, forse difficile da applicare, sicuramente non risolutivo, ma si stabilisce così un principio: quella cosa non si può fare e se la fai devi sapere che stai commettendo un reato.
Il governo Berlusconi, con molta cautela, ha tentato di introdurre lo stesso principio: non lo ha fatto con il decreto legge ma ha affidato al Parlamento la messa a punto della norma.
Per questa semplice affermazione di principio il governo è stato accusato di ogni nefandezza: si è parlato di razzismo, di fine della democrazia, di violazione dei diritti umani fondamentali: tutte castronerie di cui piace riempirsi la bocca quando non si hanno argomenti. La Chiesa ha fatto il suo mestiere e ha espresso i suoi dubbi, l’opposizione ha fatto il suo (malamente) e ha cavalcato la tigre con urla e strepiti.
Doveva a questo punto Berlusconi dare segno di ripensamento? Secondo me no. Soprattutto non dopo che il consiglio dei ministri aveva approvato all’unanimità il disegno di legge contestato.
Eppure l’ha fatto e ne capiamo i molti motivi. 1) Il tema dell’immigrazione è teso e incandescente, se la priorità dell’azione politica in questo momento è tenere aperto un dialogo “costituente” con l’opposizone, il gesto del Cav. può aiutare. 2) Le pressioni del mondo cattolico erano molto forti anche se non sempre adeguatamente motivate e non del tutto unanimi. D’altronde è comprensibile che la voce della Chiesa venga presa in considerazione anche quando è scomoda e non in “linea”. 3) Berlusconi aveva anche voglia di registrare un po’ il suo rapporto con la Lega e dimostrare che l’ultima parola è comunque sua. 4) Gianni Letta è un ottimo mediatore e un sapiente moderatore.
Bastano tutti questi motivi a giustificare il “dietrofront” di Berlusconi? Secondo me no.