Virzì vola agli Oscar a raccontare con disincanto la “sua” Italia

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Virzì vola agli Oscar a raccontare con disincanto la “sua” Italia

03 Ottobre 2010

È “La prima cosa bella” la pellicola designata dall’Italia come candidata all’Oscar per il miglior film straniero. Finalmente per Paolo Virzì il riconoscimento a una carriera che pian piano lo ha portato ad essere uno degli ultimi “sacerdoti” della commedia all’italiana, intesa nel suo senso più nobile.

La pellicola racconta la storia di Bruno Michelucci. Un insegnante di lettere come tanti altri alle prese con una insoddisfazione esistenziale dovuta alla lontananza dalla sua Livorno e alla figura ingombrante della madre malata terminale. Solo grazie all’iniziale insistenza della sorella Valeria riuscirà a riconciliarsi col passato e col genitore. Una trama esile, ma che mostra in tutta la sua efficacia la struttura narrativa e i temi cari al regista toscano. Prima di tutto la sua Livorno, già teatro di Ovosodo, e poi il rapporto familiare, le relazioni sociali e l’analisi dell’Italia, vista spesso attraverso gli occhi di persone semplici. Tutte questioni che lo accompagnano dagli esordi.

Ogni elemento delle sue pellicole trae infatti spunto dalla sua vita e da quello che lo circonda. Nasce nel 1964 a Livorno e dopo aver trascorso l’infanzia a Torino cresce nel quartiere popolare livornese delle Sorgenti. Già durante il periodo delle scuole superiori recita, dirige e scrive testi teatrali. Poco dopo stringe un sodalizio con l’ex compagno di liceo Francesco Bruni, che diventerà il suo cosceneggiatore. Quindi lascia Livorno per Roma: si può dire che "va in città", come farà, vent’anni dopo, la protagonista di “Caterina va in città”.

Nella capitale segue il corso di sceneggiatura del Centro sperimentale di cinematografia, dove si diploma senza problemi nel 1987. E’ fortunato, tra i suoi insegnanti ci sono Gianni Amelio e Furio Scarpelli e proprio la conoscenza di quest’ultimo sarà decisiva perché diventerà il suo maestro e la sua guida. Con lui collabora alla sceneggiatura di Tempo di uccidere (1989) di Giuliano Montaldo, tratto dal romanzo di Ennio Flaiano. Dopo alcuni altri progetti di cui però si è persa traccia si dedica alla regia. Vogliamo rendere omaggio alla carriera di Virzì ripercorrendo rapidamente la sua filmografia, a cavallo tra provincia italiana e risate amare.

Debutta nel 1994 con “La bella vita”. Originariamente il titolo era “Dimenticare Piombino”, dal nome della città dove la vicenda è ambientata. Il film si rifà a Romanzo popolare di Mario Monicelli ed è la storia di un triangolo sentimentale di ambientazione povera, sullo sfondo della crisi d’identità della classe operaia. Presentato alla Mostra del cinema di Venezia, il film viene premiato con il Ciak d’oro, Il Nastro d’Argento e il David di Donatello nella categoria "Migliore Regista Esordiente". Con questo debutto Virzì mette già in mostra il suo talento nel dirigere gli attori. L’anno dopo è la volta di “Ferie d’agosto” in cui l’isola di Ventotene è teatro del conflitto tra due famiglie italiane in vacanza, una di sinistra e l’altra di destra. Bissa i successi precedenti, vincendo il David di Donatello.

Con “Ovosodo”, del 1997, arriva il successo di pubblico. Il titolo è anche il nome di un quartiere di Livorno e la storia, nonostante sia molto calata nella realtà locale, ha un grande successo, tanto che la giuria del Festival di Venezia conferisce al regista il Gran premio della giuria. Nel 1999 dirige “Baci e abbracci”, un mix di favola, commedia e racconto natalizio. In pratica è la storia corale di un gruppo di ex operai intenzionati ad aprire un allevamento di struzzi nella Val di Cecina, attraverso cui Virzì fotografa una volta di più l’Italia di provincia, attirata e al tempo stesso rifiutata dalla modernità. Bisogna attendere tre anni prima di vedere “My name is Tanino” film girato tra Sicilia, Canada e Stati Uniti che racconta la storia del siculo Corrado Fortuna, un ragazzo in fuga dalla sua terra alla ricerca del sogno americano.

Il successivo “Caterina va in città”, del 2003, è dedicato alla Roma con cui il regista vive un rapporto di odio-amore, tra grandi scoperte e le delusioni altrettanto importanti. Nel film la piccola protagonista viene catapultata dalla tranquilla Montalto di Castro alla labirintica Roma per volontà del padre, un Sergio Castellitto qui nella parte di un frustrato intellettuale di provincia. “N, Io e Napoleone” del 2006, è l’adattamento del romanzo di Ernesto Ferrero N, oltre che una tentata sintesi tra commedia all’italiana, film storico e cinema in costume. Virzì riflette qui sul rapporto tra intellettuale e potere, valorizzando la trama ottocentesca con riferimenti all’attualità.

Con “Tutta la vita davanti”, del 2008, Virzì realizza uno dei suoi film più maturi e bui. In questa commedia al limite del grottesco sul mondo del lavoro, la vera protagonista della vicenda (ambientata in un call center) è la precarietà. Straordinaria unione tra comico e drammatico la pellicola ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra i quali: il Nastro d’Argento e il Globo d’oro come miglior film, il Ciak d’Oro come miglior film e miglior regia, oltre ai premi conferiti alle interpreti Sabrina Ferilli (Ciak d’Oro, Nastro d’Argento, Globo d’oro), Isabella Ragonese (Premio Biraghi come rivelazione dell’anno) e Micaela Ramazzotti (Premio Kinéo come miglior attrice non protagonista).

Infine, il già citato “La prima cosa bella”che prima di poter effettivamente essere candidato ai premi Oscar sarà esaminato da una commissione dell’Academy Award insieme ad altri film provenienti dalle cinematografie di tutti i continenti. Solo il 25 gennaio 2011 si saprà quali saranno i 5 film stranieri nominati che si sfideranno il 27 febbraio al Kodak Theatre di Los Angeles.

La mancanza di certezze circa la candidatura, comunque, non toglie assolutamente nulla all’opera di Virzì. I suoi meriti sono indiscutibili non solo nell’ultima fatica, ma in tutta la sua ancor breve produzione. Non deve ingannare la scelta di raccontare prevalentemente la Toscana e Livorno, da queste realtà circoscritte il filmaker riesce a rendere un’immagine credibile dell’intero paese con suoi vizi e virtù, un po’ come si faceva nella tradizione classica della commedia all’italiana, resa immortale da titoli e firme degni di Hollywood.

Proseguendo su questa strada Virzì entrerà in quella lista di eccellenze tutte tricolori famose nel mondo perché visceralmente legate al proprio paese. Pochi come lui sanno analizzarlo e ancora meno riescono a renderlo su grande schermo. Non resta che attendere gli esiti della notte degli Oscar, nella certezza che un mancato successo non influirà sulla vena creativa di un uomo che ha ancora tutta la vita davanti.