Visco non governa da un pezzo ma le sue politiche fanno ancora guai

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Visco non governa da un pezzo ma le sue politiche fanno ancora guai

24 Gennaio 2011

Passò come una piccola strenna natalizia, a dicembre dell’anno 2007. Ma in questi primi giorni del 2011 sta trasformandosi in un vero oltraggio per tanti italiani e, cosa ancor peggio, per migliaia di pensionati. E’ il “bonus incapienti”, ultimo nato in casa del passato governo Prodi, per soddisfatta mano dell’allora ministro Vincenzo Visco. Costerà, a consuntivo, 2 miliardi di euro per portare in tasca ai meno abbienti un sussidio di 150 euro.

Il bonus incapienti vedeva come destinatari i soggetti residenti in Italia (lavoratori, collaboratori, pensionati, ecc.) che, nell’anno 2006, avevano avuto redditi inferiori a 50 mila euro e imposta netta Irpef (è l’imposta che risulta da versare) pari a zero. A queste condizioni si aveva diritto a un bonus (cioè a una somma economica una tantum) d’importo pari a 150 euro da conteggiare, oltre che per sé stessi, anche per ognuno degli eventuali familiari a proprio carico fiscale. Per esempio, il papà con moglie e due figli a carico, avrà avuto diritto a 600 euro di bonus (150 per se stesso, 150 per la moglie e 150 per ognuno dei due figli) a condizioni soddisfatte di reddito (inferiore a 50 mila euro) e di “incapienza” (imposta netta Irpef pari a zero).

La novità del bonus era un’altra e legata alle modalità di erogazione. Trovata, tuttavia, che in questi giorni si sta rivelando una frustrazione per tanti cittadini. Venne stabilito, infatti, che fosse erogato automaticamente, cioè senza necessità di alcuna richiesta da parte degli interessati. Questo poteva valere, ovviamente, per i pensionati, i lavoratori dipendenti e i collaboratori (co.co.co.), ma non anche per i lavoratori autonomi. Ed infatti, accanto a quella automatica, venne aggiunta anche la possibilità di richiedere il bonus nella dichiarazione dei redditi (Unico o 730) oppure con un’istanza diretta all’agenzia delle entrate. La trovata dell’automaticità dell’erogazione del bonus, però, aveva una contropartita: il lavoratore o il pensionato interessato, laddove sapeva di non aver diritto al bonus (perché magari aveva avuto altri redditi nel 2006 superando il tetto limite di 50 mila euro) era tenuto a chiedere espressamente al proprio datore di lavoro o istituto previdenziale, e in tempo utile (cioè prima dell’erogazione), di non liquidargli quel bonus, rinunciando così all’attribuzione del beneficio.

Le cose, come narra la cronaca dei nostri giorni, non sono andate per il verso giusto. Infatti, tanti di quei pensionati e lavoratori, circa 50 mila, hanno ricevuto dall’agenzia delle entrate l’invito a restituire i 150 euro intascati a dicembre del 2007. Anzi, la somma da rimborsare è lievitata a euro 192,90 per via delle sanzioni e degli interessi intanto maturati. La prima tentazione di tutti è stata quella di attribuire la colpa all’Inps. In tanti sostengono che l’inghippo dipenda dall’istituto di previdenza che quel bonus erogò automaticamente sulla pensione. In pochi ricordano, invece, che l’Inps agì in questa maniera per via di un preciso obbligo di legge, come ricordato in precedenza. E poi, per amore del vero, se un problema Inps c’è stato, questo evidentemente dovrebbe riguardare solo i pensionati. Perché ai lavoratori, dipendenti o autonomi, il bonus è stato invece erogato dal datore di lavoro oppure è stato recuperato in dichiarazione dei redditi.

Ad ogni modo l’Inps ha avviato un’indagine conoscitiva sul caso. Fa sapere di aver riconosciuto il bonus ai soggetti per i quali risultava nel 2006 (dagli archivi Inps) un’imposta netta pari a zero e che agli stessi soggetti ha riconosciuto la somma (150 euro) per ciascun familiare a carico. Gli elenchi dei beneficiari, spiega ancora l’Inps, vennero redatti in base alle informazioni reddituali esistenti a novembre 2007, prima che potessero essere fornite integrazioni relative a eventuali conguagli o detrazioni. E poi, aggiunge sempre l’Inps, la norma richiedeva esplicitamente che quanti avessero ricevuto il bonus senza avervi diritto, avrebbero dovuto comunicare obbligatoriamente: dichiarando la non spettanza oppure restituendo successivamente la somma con il modello F24. Secondo l’Inps, quest’obbligo non è stato mai rispettato dai beneficiari.

Ancora una volta, dunque, a pagare le spese di un sistema fiscale iperburocratico sono i cittadini e, cosa ancora peggio, i pensionati. Provo a immaginare l’arzillo vecchietto di 90 anni che vede recapitarsi la lettera dell’agenzia delle entrate. Per quanto gentile possa essere il tono usato nello scritto, la lettura della missiva non recherà certo giovamento all’ignaro pensionato. Vivrà attimi di ansia, forse di panico che potrà dissolvere solo con una telefona a un familiare che, a sua volta, avrà cura di incaricare un consulente per risolvere la questione. Dunque, ci rimetteranno tempo, soldi e salute per risolvere una questione alla quale non hanno contribuito minimamente a crearla. Resta la magra consolazione per sé e per tutti i pensionati: non dovrà aggiungere sanzioni né interessi ai 150 euro indebitamente percepiti. E potrà restituirli anche a rate.