Visso, la ricostruzione ostaggio della burocrazia
06 Gennaio 2018
di redazione
Basta poco per capire qual è la vera situazione del cosiddetto cratere delle zone terremotate, ma, come abbiamo già a scritto, la grande stampa e i tg non danno che notizie sporadiche, appena accennate e soprattutto addolcite. A dimostrarci come si fa un’inchiesta ormai sono giovani come Tommaso Longobardi, dalla sua seguitissima pagina Fb.
Il 22 e 23 dicembre scorso, insieme ad altri che animano realtà online (“Oltre la linea” e “Figli di Putin“) è andato a Visso, Castelsantangelo sul Nera, Amatrice e dintorni, fotografando, intervistando, filmando e documentando come ancora vivono tante, troppe persone a più di un anno di distanza dal terremoto.
Interessante la semplice, ma drammaticamente efficace intervista al sindaco di Visso, Giuliano Pazzaglini, che riportiamo:
“Qual è la situazione di Visso a più di un anno dal sisma?
A 16 mesi dal sisma la situazione è tutt’altro che rosea. Sono state gestite male sia l’emergenza che la ricostruzione. Una ricostruzione inesistente ma quanto meno messa su carta, in un modo che secondo me farà sì che si realizzerà quello che si è realizzato per la costruzione delle casette: ritardi, burocrazia e insoddisfazione generale.
Dopo il terremoto dell’Aquila è stata riformata la Protezione Civile e io sintetizzo che da allora La Protezione Civile non può più fare la Protezione Civile. Per capirci: nel 2009 la Protezione Civile è andata all’Aquila e ha fatto le casette. Oggi prima di poter iniziare i lavori servono 9 passaggi: si è creata una mole di burocrazia enorme. In più una scelta scellerata di non far gestire queste fasi ai comuni ha fatto sì che si siano sommate in capo a soggetti che non erano attrezzati per dare certe risposte, per cui passaggi che potevano richiedere 2 giorni ne hanno richiesti 30. Lo dico per esperienza diretta. Ecco perché a 14 mesi dagli eventi di fine ottobre ancora ci sono pochissime casette, nelle Marche la media è il 30%.
Prima o poi le consegneranno. Ricordo che ad ottobre l’anno scorso (2016, ndr) ad Arquata Renzi disse che sarebbero state pronte in sei mesi. Senza sarcasmo, solo con una certa dose di pragmatismo io obiettai che sarei stato contento se le avessimo avute in dodici mesi, perché significava che le avremmo avute per l’inizio della scuola, il mio primo obiettivo. In realtà purtroppo non è andata nemmeno così, ho riaperto la scuola con solo 41 bambini perché, non avendo le casette disponibili la maggior parte dei genitori non sono potuti rientrare.
Che tipo di invito farebbe al governo?
Impariamo dagli errori, quello di non attribuire la competenza a chi è sul fronte tutti i giorni, e soprattutto serve una legge speciale. Tutti sanno che uno dei problemi più grandi in Italia è la burocrazia. Per fare un capanno per gli attrezzi in giardino con gli strumenti ordinari ci vogliono due anni, e anziché semplificare si è scelto di complicare tutto con 45 ordinanze del Commissario, del Capo Dipartimento della Protezione Civile, decreti legge, leggi di conversione. La richiesta che farei è una legge speciale che semplifichi anziché lasciarci nella baraonda costituita dall’attuale normativa.
Dove trova la forza per andare avanti, visto che lei è rappresentante di quelle istituzioni che avrebbero dovuto garantirle supporto, nell’emergenza e nel post-emergenza?
La differenza rispetto alle altre istituzioni è che io sono rappresentante del governo perché sindaco ma sono anche terremotato. Anche io sono rimasto senza casa e senza lavoro, nessuno meglio di me si rende conto di quello che serve. Sarebbe da irresponsabili abbandonarli e abbandonarci ora. Tutto quello che faccio per loro lo faccio per me, per mia moglie, le mie figlie, il futuro di tutta la nostra comunità. Io vivo sulla mia pelle i problemi miei e di tutti gli altri”.