Visto l’accordo Confindustria-sindacati Standard & Poor’s aveva ragione

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Visto l’accordo Confindustria-sindacati Standard & Poor’s aveva ragione

22 Settembre 2011

Ha ragione Standard & Poor’s ad aver abbassato il rating all’Italia: adesso c’è la prova che la colpa è dei Sindacati. Ieri, le Parti Sociali hanno posto la firma definitiva all’Accordo del 28 giugno sulla rappresentanza sindacale e sull’esigibilità dei contratti, dando così il via libera alla riforma delle Relazioni Industriali. Tra le novità l’accordo dà la possibilità ai contratti aziendali di regolamentare sulle materie delegate dai Ccnl o dalla legge. Una previsione contrattuale, dunque, che avrebbe dovuto rafforzare e rinvigorire il vero punto di forza e per lo sviluppo della Manovra di fine estate: l’articolo 8 sul “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”. Ma – ecco la prova delle ragioni di S&P – con la firma dell’accordo, Cgil, Cisl e Uil e Confindustria (e questa è proprio bella!) hanno raggiunto l’ulteriore patto – solo “informale”, per amor del Cielo! – di non dar seguito alla deroga dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Le relazioni industriali, in base all’Accordo Quadro del 2009, si snodano su due livelli: un contratto nazionale di categoria (ccnl); un secondo livello, aziendale o territoriale. Il Ccnl ha il compito di fissare le regole applicabili ad ogni livello (nazionale, territoriale e aziendale), per dare garanzia di certezza dei trattamenti economici e normativi a tutti i lavoratori ovunque occupati. Il contratto di secondo livello può, invece, svilupparsi soltanto sulle materie delegate, in tutto o in parte, dal Ccnl o dalla legge. L’Accordo 28 giugno s’inserisce in questo quadro di relazioni industriali. Finalizzato a rilanciare la contrattazione di secondo livello per «realizzare un sistema di relazioni industriali che crei condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni», introduce due principali novità: 1) un criterio per stabilire la rappresentanza dei lavoratori da parte di un Sindacato; 2) il valore degli accordi collettivi, ossia la cosiddetta esigibilità del contratto aziendale che è la possibilità di disapplicare il Ccnl per riferirsi solo o in parte a quello aziendale o territoriale. L’Accordo 28 giugno stabilisce che: «la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate in tutto o in parte dal Ccnl di categoria o dalla legge»; «i contratti collettivi aziendali possono definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei Ccnl nei limiti e con le procedure previste dagli stessi Ccnl».

Le norme dell’Accordo 28 giugno sull’esigibilità del contratto aziendale si agganciano strettamente all’articolo 8 della Manovra di fine estate. Perché l’articolo 8 concede, appunto, alla contrattazione aziendale o territoriale la facoltà di sottoscrivere “specifiche intese” finalizzate a precisi obiettivi (contrasto lavoro nero, maggiore occupazione, qualità contratti di lavoro, ecc.), con possibilità di regolamentare determinate materie (mansioni del lavoratore, contratti a termine, orario di lavoro, conseguenze del licenziamento, ecc.) in deroga alla contrattazione nazionale e alle norme di legge. La Manovra altro non fa, dunque, che attuare la previsione dall’Accordo del 28 giugno, ossia consentire alla contrattazione territoriale o aziendale di disciplinare alcuni aspetti del lavoro “in deroga al contratto nazionale e alla legge”. Come? Delegando i Sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale o territoriale (tenendo conto, per questa rappresentatività, dei criteri previsti dall’Accordo 28 giugno), ovvero le Rappresentanze sindacali che operano in azienda (Rsa o Rsu, anche queste disciplinate dall’Accordo 28 giugno) a fissare specifiche norme vincolanti per l’azienda e i lavoratori, anche se difformi ai principi del Ccnl e/o della legge.

Ma qui è arrivato ieri l’ammutinamento dei Sindacati. E, peggio, anche quello di Confindustria. E’ chiaro che l’articolo 8, contenendo una delega, sarà incisivo in campo industriale – aziendale nella misura in cui Sindacati e Aziende saranno disposti a esercitarla. Prendiamo ad esempio proprio il famigerato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In virtù dell’articolo 8 e dell’Accordo 28 giugno, in un’azienda si potrà decidere di sostituire il reintegro obbligatorio con una penalità retributiva, in caso di ingiusto licenziamento; ma ciò sarà possibile solo e soltanto se ci sarà disponibilità a tal fine da parte dei Sindacati a farlo (ipotizzando che l’azienda è più probabile che lo sia). E invece, stando alle dichiarazioni rese ieri dai Sindacati, questo esempio è destinato a restare tale, sulla carta. Infatti, sembrerebbe proprio che tale disponibilità manchi a prescindere sull’argomento “articolo 18”. E’ il Segretario della Cisl a darne prova: «per quanto riguarda le tutele previste dall’articolo 18», ha detto Raffaele Bonanni, «queste resteranno pienamente valide visto che Cisl e tutte le altre organizzazioni sindacali non tratteranno questo punto per loro libera volontà». Ovviamente sulla stessa linea sta sintonizzata la Cgil che, ha spiegato Susanna Camusso, interessata alla cancellazione dell’articolo 8, si sta «muovendo con il ricorso alla corte costituzionale».

Ecco, dunque, perché ha ragione Standard & Poor’s ad aver abbassato il rating all’Italia. «La nostra analisi macroeconomica», ha scritto l’Agenzia di rating nel comunicato stampa di martedì, «illustra le principali debolezze dell’Italia in termini di credito: anche sotto pressione, le istituzioni politiche italiane, l’incombere dei monopoli, i lavoratori del settore pubblico e i sindacati del settore pubblico e privato ostacolano la capacità del governo di rispondere in maniera decisiva, alla difficile situazione economica». L’accordo–inciucio di ieri, tra Sindacati e Confindustria, che mira al blocco della riforma dell’articolo 8 della Manovra è la prova provata di come i “Sindacati ostacolano la capacità del governo di rispondere, in maniera decisiva, alla difficile situazione economica”.