Nell’Italia che sta faticosamente uscendo dalla pandemia i morituri grillini, trasformatisi velocemente nella nuova casta, stanno nuovamente tentando di mobilitare l’ opinione pubblica con l’arma di “distrazione di massa” della lotta contro i vitalizi (degli altri).
Invitato a parlare sull’ argomento alla trasmissione Zona Bianca su Canale 4 ho cercato, in collegamento da Modena, di dare informazioni agli ascoltatori, continuamente interrotto da Roberto Poletti e Mario Giordano, che nel suo intervento aveva sostenuto che i tagli retroattivi ai vitalizi dei parlamentari superstiti dovevano essere ancora più severi.
Stiamo parlando di 1868 ex deputati e senatori ai quali dal 1 gennaio del 2019 è stato applicato un taglio radicale del vitalizio, che per i più anziani è arrivato sino all’85 per cento, sulla base di parametri di calcolo inventati di sana pianta ed applicati retroattivamente.
Già al tempo della discussione di questa decisione di Camera e Senato avevo fatto presenta che l’età media dei superstiti era di 76 anni, ancor più alta per i senatori, con 78 ex che avevano tra i 90 e i 103 anni e 292 tra gli 80 e gli 89 anni, osservando che madre natura, secondo i calcoli degli attuari, avrebbe risolto velocemente il problema senza bisogno di persecuzioni.
E infatti prima della trasmissione mi sono fatto aggiornare da Camera e Senato il numero dei deputati e dei senatori deceduti dopo essere stati colpiti dalla riforma, dalla sua entrata in vigore il 1 gennaio del 2019 ad oggi: si tratta di 125 deputati (11%) e 86 senatori (13%) che riducono il numero dei superstiti a 1657.
L’ età media dei senatori deceduti è stata di 89 anni, quella dei deputati 86.
Se ne sta andando una parte importante della storia dell’Italia con personaggi protagonisti di appassionate battaglie politiche nell’Italia dei partiti della Prima repubblica: ci hanno lasciato tra gli altri Alfredo Biondi, Marco Formentini, Paolo Cabras, Gianfranco Zeffirelli, Adriano Ossicini, Giuseppe Zamberletti, Sergio Zavoli, Franco Marini, Alberto Arbasino, Carlo Casini, Gianni De Michelis, Giuseppe Guarino, Giulio Maceratini, Rossana Rossanda, Lorenzo Acquarone, Gianfranco Anedda, Mauro Mellini, Emanuele Macaluso, Ombretta Fumagalli Carulli…
E’ deceduto anche a quasi 105 anni il decano degli ex, Valentino Perdonà, ex Sindaco democristiano di Soave.
Perdonà rappresenta bene la storia comune a tanti parlamentari della Prima Repubblica: terzo di undici fratelli di una famiglia di coltivatori diretti si diplomò da privatista a causa della povertà della famiglia per laurearsi poi in lettere, giurisprudenza e farmacia.
E’ legittimo pensare che questi superstiti debbano essere puniti, come spiega Giordano, perchè la Prima Repubblica è stata soltanto corruzione e partitocrazia; altrettanto legittimo ritenere invece che meriterebbero una medaglia d’oro per aver fatto crescere straordinariamente un paese distrutto dalla guerra salvaguardando la democrazia, durante la guerra fredda, nell’imperversare del terrorismo, con una grandissima partecipazione popolare alle lotte politiche e sindacali.
In quel periodo sono state fatte tante scelte giuste ed altre sbagliate, come quello di riconoscere la pensione dopo soltanto 15 anni di lavoro per gli Statali, riconoscere la pensione a coldiretti, commercianti, artigiani fondate sul retributivo e non sul contributivo, tutte anomalie corrette da riforme successive, senza che a nessuno sia passata neppure per l’anticamera del cervello l’idea di applicare a milioni di persone in quiescenza con quelle regole il ricalcolo contributivo decurtandogli dal mattino alla sera la pensione sino all’80 per cento.
Questa operazione miserabile e maramaldesca è stata fatta in maniera grossolana, per ragioni propagandistiche, soltanto per i parlamentari superstiti, che inevitabilmente vincono tutte le cause nel momento che riescono arrivare davanti ad un Giudice che non può, in basa alla Costituzione ed alle leggi in vigore, che riconoscere i loro diritti acquisiti così come quelli di tutti i cittadini.
Questa vicenda mi ricorda il tempestoso incontro tra il Presidente del Senato del Cile, il grande Edoardo Frei, e il Generale Augusto Pinochet dopo il colpo di stato che portò alla morte di Salvador Allende.
Quando Frei capì che Pinochet non aveva nessuna intenzione di abbandonare il potere e tornare alla democrazia, chiese di poter chiamare l’autista per tornare al Senato: “l’auto non c’è più”, fu la risposta sprezzante di Pinochet, “da ora in avanti non sfrutterete più il popolo”.
Ieri, oggi e domani stavo, sto e starò dalla parte dei Frei e non da quella dei Pinochet.