Vittime del vittimismo jihadista: il caso Ehrenfeld

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Vittime del vittimismo jihadista: il caso Ehrenfeld

28 Aprile 2008

Gli exploit dei bombaroli suicidi, al World Trade Center come nelle stazioni della metropolitana a Londra o a Madrid, fanno certamente notizia, ma non sono che la punta dell’iceberg del jihad totale che gli islamisti perseguono nella speranza di imporre un nuovo califfato mondiale. Un elemento cruciale della guerra che le frange islamiche più radicali conducono contro la civiltà occidentale è il jihad finanziario, dall’espansione della finanza islamica che richiede un’adesione ai principi della legge coranica (shariah) da parte dei finanziati al rastrellamento di denaro tramite organizzazioni sedicenti caritatevoli e al suo riciclaggio e incanalamento verso attività terroristiche.

Che i simpatizzanti della causa islamista che vivono in Europa usino e abusino delle leggi e degli ordinamenti a loro favorevoli, recitando ad arte la parte delle vittime, non é certo un fatto nuovo. Ogni critica, anche la più civile intellettualmente onesta e argomentata, neppure verso l’Islam o il Corano, ma anche soltanto verso gli aspetti più raccapriccianti della shariah (come la lapidazione degli adulteri o la menomazione fisica dei delinquenti), viene puntualmente trasformata in razzismo, incitamento all’odio razziale e discriminazione. L’arte del vittimismo islamista è in continuo perfezionamento; uno dei suoi più recenti trend denota una diabolica e raffinata conoscenza, da parte dei radicali islamici, dei punti deboli degli ordinamenti giuridici occidentali e una grande determinazione nello sfruttare a proprio vantaggio le varie crepe, discrepanze e aree di incertezza che sono inevitabilmente parte di ogni ordinamento giuridico. 

Khalid Bin Mahfouz, miliardario finanziere saudita, è stato coinvolto a più riprese in scandali relativi al finanziamento di Al Qaida e altre organizzazioni terroristiche. La dottoressa Rachel Ehrenfeld, una delle autorità mondiali in materia di finanziamento occulto al terrorismo jihadista, nel suo libro “Funding Evil” (Finanziare il Male) segue le tracce lasciate dalle varie organizzazioni non governative che servono da facciata per l’incanalamento dei fondi occulti verso Al Qaida. Il nome di Khalid Bin Mahfouz è menzionato diverse volte. L’attività del finanziere saudita e il suo ruolo nella vicenda non sono il frutto di sentito dire o di pettegolezzi di persone invidiose della sua fortuna economica. Basti dire che esiste una nota dei servizi segreti francesi, rilasciata il 13 settembre 2001, che afferma che la figura di Mahfouz era ben conosciuta a partire dal 1996 come architetto dell’ingegnoso escamotage bancario creato per riciclare denaro a beneficio di Bin Laden. La nota lascia inoltre intendere che anche i servizi britannici e statunitensi erano a conoscenza delle attività al limite dell’illecito, se non già chiaramente illecite, del Mahfouz. Inoltre, la fondazione “Muwafaq”, l’ente di carità che il finanziere saudita aveva creato dotandola di 30 milioni di dollari, era stata messa fuorilegge dal Dipartimento del Tesoro statunitense nell’ottobre del 2001, come società di copertura per il finanziamento di attività terroristiche ai danni degli USA. Yassin Al-Qadi, cittadino saudita responsabile della conduzione delle attività della fondazione, ha avuto le finanze sue e della Muwafaq congelate in seguito all’accusa di finanziamento ai terroristi.

La dottoressa Ehrenfeld è cittadina americana, il libro “Funding Evil” è stato pubblicato negli USA dalla casa editrice americana Bonus Books. Eppure il 23 gennaio del 2004 Ehrenfeld riceve una e-mail spedita dagli avvocati inglesi di Mahfouz, che le intimavano, fra l’altro, di:

1) togliere dalla circolazione e distruggere tutte le copie invendute del libro;

2)  scrivere un pubblica lettera di scuse;

3)  fare una donazione ad un ente di carità indicato dal Mahfouz;

4)  pagare tutte le spese legali.

Dopo l’iniziale stupore, a Rachel Ehrenfeld sono bastate poche ore di ricerca su Internet e qualche telefonata ad amici nel settore per capire di essere soltanto l’ultima delle vittime di ciò che nel mondo anglosassone è definito “libel tourism”, “turismo della calunnia”. Le leggi che regolano il reato di diffamazione nel Regno Unito sono totalmente sbilanciate in favore del calunniato (o presunto tale). L’onere della prova è  posto sulle spalle dell’accusato, e non dell’accusatore. Come se non bastasse, i criteri di accettazione della giurisdizione del Regno Unito per l’istituzione del processo per diffamazione sono estremamente laschi. Per intentare la causa di diffamazione contro Rachel Ehrenfeld, a Mahfouz è bastato acquistare 23 copie del libro “Funding Evil” su Internet e farsele recapitare in territorio inglese.

La tecnica intimidatoria basata sul “turismo della calunnia” si era dimostrata estremamente efficace per Mahfouz in passato – ben 36 case editrice e autori angloamericani sono stati citati in giudizio da Mahfouz e tutti hanno deciso di soccombere alle sue richieste piuttosto che affrontare il processo, dato l’alto rischio di perdere la causa, il che avrebbe eroso tutto il profitto dei libri pubblicati. Nel 2004 il finanziere saudita era riuscito a far censurare due libri, uno preparato dalla JCB Consulting, società di investigazioni ingaggiata da molti dei famigliari delle vittime dell’attentato alle torri gemelle, con l’intenzione di citare in giudizio per risarcimento i finanziatori di Al Qaida, e l’altro, intitolato “Reaping the whirlwind”, che significa “Soffrire pene causate da malefatte altrui”, scritto  da Michael Griffin e pubblicato nel Regno Unito da Pluto Books. Evidentemente Mahfouz, inebriato dai suoi successi, dei quali si vanta sul suo sito web (www.binmahfouz.info) pensava di poter mettere la museruola anche alla Ehrenfeld, che invece ha deciso di non difendersi in Gran Bretagna (il che le è costato una condanna in contumacia con un risarcimento di 110.000 sterline in favore di Mahfouz), ma di intentare causa contro Mahfouz in una corte statale di New York. La sua linea di difesa si fondava sul fatto che la sentenza inglese non poteva essere applicata a New York perché l’ordinamento britannico che regola diffamazione e calunnie offre meno protezione per la libertà d’espressione che i corrispondenti ordinamenti giuridici a livello federale e statale (USA e stato di New York).

Gli avvocati di Mahfouz, dal canto loro, sostenevano che la causa intentata dalla Ehrenfeld doveva essere dichiarata invalida perché la corte statale di New York non ha giurisdizione sul finanziere saudita (che è anche cittadino irlandese). La battaglia legale, durata due anni, tra altalene emotive, vittorie di pirro e sconfitte non definitive, termina il 20 dicembre del 2007 alla Corte d’Appello dello stato di New York. La sentenza rappresenta una sconfitta per la Ehrenfeld, in quanto la Corte d’Appello stabilisce che non ha giurisdizione su Mahfouz. Ma la motivazione della sentenza lascia aperto uno spiraglio, affermando che le leggi secondo cui la sentenza di non-giurisdizione  si era basata, potevano venire modificate dal parlamento statale.

Nel frattempo, durante la lunga schermaglia legale, un altro caso eclatante di “turismo della calunnia” aveva colpito la Cambridge University Press, la quale senza opporre nessuna resistenza legale, aveva deciso di soccombere alle richieste di Mahfouz, dopo che il libro “Alms for Jihad” (Elargizioni per il Jihad) era stato pubblicato nel 2006. Non solo la capitolazione immediata di una delle più prestigiose case editrici britanniche aveva destato scalpore, ma ancora più il modo con il quale la Cambridge University Press era addirittura andata oltre le richieste di Mahfouz, distruggendo tutte le copie invendute del libro e contattando librerie in tutto il mondo con la richiesta di ritirare il libro dagli scaffali. A tutt’oggi risulta impossibile reperire copie del libro, in qualsiasi parte del mondo. Non esiste una versione elettronica scaricabile da internet e per i studiosi di terrorismo è praticamente impossibile procurarsi una copia di “Alms for Jihad”.

Negli USA il fatto non era passato inosservato. Il congressman Frank Wolf, repubblicano della Virginia, aveva invitato uno degli autori di “Alms for Jihad” a una riunione con esponenti dell’intelligence e del dipartimento di sicurezza nazionale, definendo il comportamento della Cambridge University Press “un bruciare i libri come ai tempi dell’inquisizione”. Il clima politico, insomma, stava maturando per un intervento deciso contro il “turismo della calunnia”. In questo clima si arriva al “Libel Terrorism Protection Act”, una legge promulgata dal parlamento statale di New York nell’aprile 2008 che mette a disposizione del legislatore due strumenti per  controbattere il “turismo della calunnia”. Innanzitutto la nuova legge prescrive che le sentenze per diffamazione non sono valide nello stato di New York a meno che un tribunale statale determini che la legge straniera secondo cui un cittadino newyorkese è stato condannato offra lo stesso grado di protezione del free speech offerto dalla costituzione (sia federale USA che statale). Inoltre, il “Libel Terrorism Protection Act” estende la giurisdizione in materia di diffamazione in modo da includere cittadini stranieri che ottengano sentenze per calunnia contro cittadini newyorkesi. Dopo la sentenza sfavorevole per la Ehrenfeld, il parlamento statale di New York ha deciso di cambiare quelle leggi la cui applicazione aveva determinato l’esito negativo per l’autrice newyorkese.

A livello federale è anche in corso una battaglia per instaurare un simile sistema legale di protezione dei cittadini USA dal turismo della calunnia. Il congressman Peter King ha giusto introdotto nell’iter del congresso una legge chiamata “Free Speech Protection of Act of 2008” che rende possibile per autori americani il citare in giudizio cittadini ed enti stranieri che abbiano ottenuto sentenze per diffamazione all’estero che sono in contrasto con lo spirito del primo emendamento alla costituzione USA (l’emendamento che regola la libertàd’espressione).

La morale di quanto accaduto è amara. Rachel Ehrenfeld ha vinto la sua battaglia, ma a un caro prezzo. Non può mettere piede nel Regno Unito, dove è in debito di 110.000 sterline più spese giudiziarie. Il suo libro è ancora all’indice in Gran Bretagna. Per anni non un solo libro o articolo che esponesse i legami col terrorismo jihadista dei ricchi sauditi è apparso sulle due sponde dell’oceano atlantico per timore di essere citati in giudizio nel Regno Unito. Roger Kimball, giornalista del New York Sun, racconta di aver ricevuto recentemente un e-mail da un distributore di libri in Gran Bretagna che gli chiede se il libro “Willful Blindness: a Memoir of the Jihad” di Andrew McCarthy, che sarà pubblicato quest’estate, contenga qualsiasi riferimento a cittadini sauditi in materia di terrorismo. Riferimento che potrebbe generare cause per diffamazione e “offendere i sauditi che vivono in Inghilterra”. Le catene di distribuzione editoriale in Gran Bretagna sono ancora terrorizzate dalle conseguenze legali che potrebbero verificarsi in seguito alla distribuzione di libri invisi all’establishment saudita.

I benefici della battaglia vinta dalla Ehrenfeld saranno sentiti in futuro da altri autori. Si è in pratica chiusa la stalla dopo che i cavalli sono scappati. Ma è grazie a cittadini esemplari come lei che la guerra contro il jihadismo mondiale ha oggi un’arma in più che servirà per smascherare i legami tra la finanza saudita e il terrorismo islamista.

È auspicabile che l’esperienza della Ehrenfeld serva da monito ai vari paesi occidentali sotto attacco da parte dei jihadisti. Anche se in Italia ancora non si sono verificate palesi distorsioni del diritto tese a favorire il vittimismo islamista paragonabili al devastante effetto sortito dal “turismo della calunnia”, è solo questione di tempo. Speriamo di non dovere scrivere, di qui a pochi anni, un simile articolo celebrando l’eroismo di una Ehrenfeld italiana. Abbiamo i mezzi per intervenire prima che la situazione degeneri in modo simile a quanto è avvenuto nel mondo giuridico anglosassone degli ultimi anni.