Viva Sanremo!

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Viva Sanremo!

19 Febbraio 2012

Si può dire “viva Sanremo” senza pagare un prezzo in biasimo e isolamento sociale? Si può dire che, dopo 60 anni di festival – la prima edizione è del 1951 – se Sanremo di quest’anno ha incollato alla tv in media un italiano su due qualche cosa vorrà pur significare?

Certo tremano le vene ai polsi a voler sfidare il sopracciglio aggrottato di Aldo Grasso, lo strepito delle “gerarchie vaticane”, gli intellettuali tutti insieme, i giornalisti per bene, quelli che “non guardo la televisione, preferisco un buon libro”.

Eppure un po’ per il riflesso popperiano di mettere il proprio piccolo peso dalla parte opposta di dove tutti s’affollano, un po’ per meditata convinzione, viene da dire che il festival di Sanremo è stato un trionfo.

Lascerò da parte la questione della Rai, del canone, del servizio pubblico e della sua sempre auspicata privatizzazione: in un modo perfetto il Festival non esisterebbe più, o almeno non come lo conosciamo. Ma finchè la Rai resta quella che è, un ibrido sostenuto a pubblicità e canone (la tassa più evasa d’Italia, e con ostentanto orgoglio), Sanremo lo si può fare solo così.

Il Festival non può che essere questo: una gigantesca macchina che produce ascolti e consente all’azienda i vendere gli spazi pubblicitari a prezzi record, con la speranza di ripagarsi il costo del baraccone e guadagnarci pure qualcosa, mentre la concorrenza ripiega su prodotti d’archivio. In questo senso la 62ma edizione è stata un successo.

Per una settimana non si è parlato d’altro: è scomparso lo spread, il default greco, l’articolo 18, lo scontrino fiscale, persino Mario Monti non s’è più visto in tivvù. I giornali di ogni ordine e grado non avevano che Sanremo in prima pagina e in numerose pagine interne. Certo, quasi sempre per vituperarlo, per chiedere la sua chiusura e la ghigliottina per Celentano e per tutti i vertici Rai coinvolti e colpevoli. Ma importa qualcosa? Ovviamente no.

E vi siete fatti un giro su Facebook e Twitter nei giorni del Festival? Non c’erano altro che canzoni riprese da youtube, gruppi d’ascolto sanremesi, mutande, farfalline, spacchi, spezzoni celentaneschi e tinture morandiane. Bastava dire “Celentano fa schifo”, “Belem è bona” o “domani compro Avvenire e Famiglia Cristiana” per avere centinaia di “mi piace” e decine di commenti. E gli hashtag su twitter su sanremo e compagnia battevano quelli sulla depressione di #Demimoore o sull fiasco di #Madonna al #superbowl. Insomma, sua maestà la blogosfera si è inchinata al tubo catodico. Il volubile, inconstante e frenetico popolo di internet si è messo in fila per una settimana davanti alla soglia polverosa di mamma Rai.

Certo, c’è voluta qualche “caduta di stile” come ha detto l’impeccabile presidente Garimberti, qualche oncia di scandalo molleggiato (ovvio che fosse un ingrediente programmato), un po’ di pruderie che non guasta mai, specie dopo mesi di lacrime e loden. Ma chi dice di rimpiangere i bei tempi canori di Nilla Pizzi e di Claudio Villa, quando “protagonista era la musica” e poi passa le sue giornate tra Itunes, Youtube, Netflix, e Farmville, alla fine fa un po’ ridere.

Volete un Sanremo diverso? Volete solo canzonette? Il vostro cuore freme per “Vola colomba e vola” e “Grazie dei Fiori”? Allora togliete alla Rai la pubblicità e la pressione dello share. Altrimenti dite grazie e Celentano e a Papaleo.