Vladimir Putin, lo zar ideale per far sopravvivere la Russia di oggi
08 Agosto 2009
di Peter Zeihan
Questo weekend ricorre il decimo anniversario dell’ascesa di Vladimir Putin al Cremlino in una posizione di leadership. Tanti sono gli eventi che si sono susseguiti da quando Putin è stato eletto inizialmente come primo ministro nell’agosto 1999, ma il cambiamento più significativo in Russia è stato quello dai giorni dell’instabilità, in cui si poteva parlare di semi-democrazia, ai giorni d’oggi, con una struttura statalista ed autoritaria.
Se, da un lato, noi di STRATFOR abbiamo nutrito dubbi sul fatto che Putin riuscisse a sopravvivere alla transizione della Russia da esitante democrazia a qualcosa di molto vicino ad uno stato di polizia, dall’altro la trasformazione della Russia stessa ha sempre confermato le nostre previsioni. Il governo autoritario è una delle caratteristiche geograficamente insite nella Russia.
La struttura autoritaria del paese affonda le sue radici in due aspetti tra loro collegati: le dimensioni del suo territorio e la mancanza di confini geografici ben definiti.
La questione dell’ampiezza territoriale.
La Russia è enorme. Talmente tanto da confondere le idee. Persino gli americani, il cui paese ha già un’estensione non indifferente, hanno delle difficoltà a concepire quanto enorme sia la Russia. Non a caso abbraccia ben 11 diversi fusi orari. Spostarsi da un capo all’altro del paese con il treno richiede un viaggio di sette giorni e sette notti. I jet commerciali fino a poco tempo fa non riuscivano ad attraversare l’intero territorio con un solo rifornimento di carburante. La prima strada transcontinentale del paese è diventata operativa solo da pochi anni. In breve, la Russia – per non parlare dell’Unione Sovietica, ben più estesa – più o meno è grande due volte tanto rispetto a tutti i 50 paesi degli Stati Uniti messi insieme.
Data questa enorme estensione, la Russia è condannata ad essere estremamente povera. A parte la considerevole eccezione del Volga, il paese non ha fiumi utili da poter sfruttare per il trasporto delle merci – ed il Volga, che è ghiacciato per la maggior parte dell’anno, sfocia nel Mar Caspio, in una zona priva di qualsiasi sbocco commerciale. Mentre gli americani e gli europei hanno sempre avuto la possibilità di trasportare beni e persone a basso costo su e giù per i loro fiumi, risparmiando denaro che potevano poi utilizzare nella produzione di armi, nell’acquisto di merci e nella preparazione della propria forza lavoro – diventando in tal modo ancora più ricchi – i russi hanno invece dovuto impiegare tutti i loro scarsi capitali nella costruzione dei sistemi di trasporto necessari a sostenere la popolazione.
La maggior parte delle città occidentali si è sviluppata su nodi di trasporto naturali, mentre molte delle città russe sono semplicemente il risultato di una pianificazione statale. San Pietroburgo, ad esempio, è stata costruita esclusivamente per essere utilizzata come postazione d’avanguardia per combattere la Svezia e controllare il Mar Baltico. Le prime basi di industrializzazione, poste in tutta Europa e in America nel corso del diciannovesimo secolo, richiedevano la possibilità di un trasporto rapido e poco costoso per realizzare il processo in modo economico e per servirsi dei centri densamente popolati come bacini da cui attingere forza lavoro a basso costo e mercati concentrati.
La Russia non aveva le strutture di transito né la popolazione per uno scopo del genere. Le grandi città hanno bisogno di grosse quantità di cibo a basso costo. In mancanza di opzioni di trasporto efficienti, i prodotti dei contadini sarebbero andati a male prima di raggiungere i mercati, impedendo ogni possibilità di un buon guadagno. I tentativi dello stato di confiscare la produzione agricola hanno portato a numerose sollevazioni. I primi governi russi si sono continuamente ritrovati in una situazione di stallo, bloccati dall’incertezza nel dover scegliere se attingere alle già scarse risorse del paese per acquistare cibo e sostenere la crescita delle città, o investire quel denaro su una forza di sicurezza per terrorizzare gli agricoltori, in modo tale da procedere alla confisca dei loro prodotti. Fino a quando non si è avuto lo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie – e l’imposizione del pugno di ferro da parte dell’Unione Sovietica – la campagna ha continuato ad essere sfruttata economicamente e sopraffatta spiritualmente, con una regolarità tale da permettere la crescita e l’industrializzazione delle città della Russia. Ma anche allora, le città venivano costruite sulla base di un pensiero strategico – e non economico. Magnitogorsk, uno dei maggiori centri industriali russi, è stato costruito ad est della catena degli Urali, per assicurarsi una difesa contro gli attacchi della Germania.
Gli ostacoli allo sviluppo economico della Russia potevano essere superati solamente attraverso la pianificazione statale o la pratica istituzionale del terrore. Come tutti sanno, la prima vera ondata di sviluppo ed industrializzazione in Russia non si è verificata sino all’ascesa di Stalin al potere. La scoperta di vaste risorse energetiche da allora, in qualche modo ha dimostrato negli anni la propria utilità. Ma dato che la maggior parte di quelle riserve si trovava letteralmente a migliaia di chilometri da ogni mercato, la necessità di costruire enormi infrastrutture solamente per raggiungere quei depositi, metteva pressione sul risultato finale del paese.
La miglior difesa.
L’ampiezza della Russia di per sé la porta verso un sistema autoritario, ma la causa più profonda alla base di un simile sistema affonda le sue radici nella mancanza di confini ben definiti. Per descrivere al meglio tale situazione è necessario un breve richiamo alle lezioni sull’occupazione dei Mongoli.
La forza dei Mongoli – che una volta dominavano le steppe dell’Asia, e col tempo la maggior parte del territorio che oggi costituisce la Russia (in mezzo ad altri ampi territori) – risiede nella loro eccezionalità militare a cavallo. Dove la terra si presentava aperta e distesa, i cavalieri mongoli non avevano pari. Gran parte della immensa popolazione russa si piegava alla loro azione. Non esistevano barriere fisiche che potessero bloccare – o anche solo rallentare – l’avanzata dei Mongoli e la loro inevitabile vittoria. Solo le foreste a nord di Mosca rappresentavano la miglior difesa per la Russia.
Quando l’orda mongola arrivava davanti alle foreste, gli uomini della cavalleria erano costretti a scendere da cavallo qualora volessero intraprendere un combattimento. Una volta privati del loro cavallo, il vantaggio dei guerrieri mongoli sui soldati-contadini russi si riduceva improvvisamente. Ed è per questo motivo che solamente nelle foreste del nord della Russia è riuscita a sopravvivere una qualche parvenza di indipendenza russa durante i tre secoli di dominio mongolo.
I Mongoli hanno lasciato una dura lezione ai russi, mostrando quanto le invasioni – in particolare quelle di successo, perpetrate per generazioni – possano essere terribili. L’occupazione mongola ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva della Russia, creando nella sua gente una vera e propria ossessione nei riguardi della sicurezza nazionale. Echi di quella terribile memoria si sono riproposti ancora ed ancora nella storia del paese, con le invasioni di Napoleone e di Hitler, per citare solamente due degli esempi più recenti. Gran parte della popolazione russa vede ancora oggi sotto quella luce anche la progressiva espansione dell’Unione Europea e della NATO negli ex territori sovietici, che viene considerata semplicemente come la più recente incarnazione del terrore mongolo.
Una volta concluso il periodo dell’invasione mongola, la strategia della Russia può essere riassunta in un’unica parola: espansione. Il solo ricorso alla sfida dell’espansione territoriale e la mancanza di opzioni di trasporto interne – con la mancanza assoluta di ogni significativa barriera alle invasioni – ha spinto alla ricerca del maggior numero possibile di zone-cuscinetto A questo scopo, l’enorme e povera Russia ha dedicato le sue scarse risorse alla costruzione di un esercito in grado di spingere i propri confini esterni lontano dal territorio centrale, alla ricerca di sicurezza.
Le complicazioni derivanti da un’espansione del genere – come quella raggiunta nel periodo sovietico – hanno una triplice sfaccettatura.
In primo luogo, la sicurezza è incompleta. Mentre molti paesi dispongono di una sorta di barriera geografica che garantisce un certo grado di sicurezza – il Cile può contare sulle Ande e sul Deserto di Atacama, il Regno Unito sul Canale della Manica, l’Italia sulle Alpi – per la Russia le potenziali barriere contro un’invasione sono lontane ed incomplete. Infatti sebbene possa contare verso ovest sui Carpazi, rimane esposta sulla Pianura Nord Europea e sul vuoto della Bessarabia. Può raggiungere le Montagne del Tien Sha nell’Asia Centrale e le paludi della Siberia, ma tra le montagne e la zona paludosa si estende un’area di steppe sin dentro la Cina e la Mongolia. A meno di non conquistare praticamente tutta l’Eurasia, non c’è alcun modo di rendere sicuri i confini della Russia.
In secondo luogo, i tentativi di rendere sicuri i suoi confini sono estremamente costosi – ad un livello tale che nessuno stato potrebbe permettersi in modo costante. Provare solamente a sostenere una spesa del genere comporterebbe per il sistema economico della Russia, già in notevole affanno, la necessità di supportare un confine ancora più esteso, con un impegno che richiederebbe anche un ampliamento delle forze militari. Ma quanto più la Russia si espande, tanto più si impoverisce, e tanto più si trova ad affrontare le difficoltà derivanti dalle sue scarse risorse, che vanno incanalate verso i bisogni dello stato – e questo sta a significare che il controllo centrale diviene sempre più essenziale.
In terzo luogo, ogni nuovo stato cuscinetto che la Russia conquista non è disabitato, ma è la casa di persone diverse dai russi. E queste persone raramente sono disposte ad accettare l’idea di servire la Russia come abitanti di regioni cuscinetto. Assicurare la tranquillità delle popolazioni conquistate non è un compito per chi non ha coraggio. Al contrario richiede forze di sicurezza che non solo devono essere ampie e imponenti, ma anche in grado di penetrare all’interno dei gruppi che oppongono resistenza, ottenendo informazioni ed aiuto nel mantenimento dell’ordine pubblico. E’ dunque necessario un servizio interno di intelligence, con lo scopo principale di mantenere in linea i molteplici gruppi conquistati – sia che si tratti di Lettoni o Ucraini o Ceceni o Uzbechi – e la dimensione e la costante presenza di un simile servizio di intelligence tende ad essere proporzionale solo alla sua brutalità.
Il crogiolo del Cremlino.
La Russia è un luogo difficile da governare, e come accennato, noi di STRATFOR siamo abbastanza sorpresi del fatto che l’influenza di Putin sia riuscita a durare nel tempo. E non perché lo riteniamo un incompetente, ma solo perché la vita in Russia è terribilmente dura e il Cremlino è un crogiolo, dove i leader vengono schiacciati velocemente. Prima che Putin prendesse il posto del numero due in Russia, l’ex presidente Boris Yeltsin aveva affidato quella posizione a non meno di 10 uomini diversi – uno dei quali era stato chiamato per due volte.
Ma Putin può vantare una caratteristica che STRATFOR aveva già individuato dieci lunghi anni fa e che lo rende diverso da tutti gli altri. Putin non era né un burocratico né un tecnocrate né un politico: era un agente del KGB. E come lo stesso Putin ha notoriamente dichiarato, non c’è nulla di paragonabile ad un ex funzionario dell’intelligence. Questo gli ha permesso di mettere le briglie alla moderna incarnazione delle istituzioni che hanno reso la Russia non solo una realtà possibile ma anche stabile – i vari rami dell’intelligence – e di fonderle nel cuore del nuovo regime. La maggior parte dello staff di alto livello attualmente presente al Cremlino, e quasi tutti i componenti del ristretto circolo di Putin, erano profondamente invischiati nella rete dell’apparato di sicurezza sovietico.
Questo non è l’unico esempio di una coalizione di forze nella storia della Russia. Andropov ha guidato il KGB prima di prendere le redini dell’impero sovietico. Stalin era (tristemente) noto per il suo utilizzo dell’apparato di intelligence. Lenin aveva quasi messo a terra la Russia, prima che il suo dispiegamento delle forze della Cheka frenasse la caduta libera del paese. E gli zar prima dei leader sovietici erano ben a conoscenza del ruolo che tali servizi ricoprivano.
Tra l’inefficienza economica – che è andata solo peggiorando dai tempi sovietici – e il problema demografico, la Russia si trova di fronte ad un futuro che sembra essere più tetro del suo passato. Infatti vede se stessa come un paese assediato dai nemici all’esterno: l’Occidente, il mondo musulmano e la Cina. Per non parlare di quelli che vede all’interno: solamente tre cittadini su quattro sono di etnia russa, con un’età di gran lunga superiore rispetto alla media. E il tasso di natalità dei cittadini di diversa etnia è circa il doppio rispetto a quello dei russi. Solamente un’istituzione in tutta la storia della Russia si è dimostrata in grado di resistere a simili forze, e si tratta di quella istituzione che ancora una volta governa il paese.
La Russia può riuscire a resistere in piedi sull’orlo del suo tramonto. Se esiste una forza che possa preservare una qualche versione della Russia, potrà anche non essere identica a Putin, ma dovrà necessariamente avere molto in comune con ciò che Putin rappresenta.
© STRATFOR
Traduzione Benedetta Mangano