Volpi (Lega): “Al Nord vince chi fa, non chi parla troppo o pensa agli strappi”
31 Marzo 2010
Non si fa politica per prendere i voti ma si prendono voti per fare politica. Detta così può sembrare una frase ad effetto, ma in mezzo c’è quel 12% di consensi che la Lega mette nel suo carniere elettorale insieme alla conquista di Veneto e Piemonte coi governatori Zaia e Cota. Piattaforma che al Senatur serve per spingere l’acceleratore sul federalismo legando a questo il capitolo presidenzialismo, tema caro al Cav. E ai suoi uomini per mandare messaggi al Pdl sull’altra partita che ora si apre: il Comune di Milano. Raffaele Volpi, deputato bresciano molto vicino a Giancarlo Giorgetti (potente segretario della Lega Lombarda e presidente della commissione bilancio a Montecitorio nonchè uomo-ombra di Bossi su economia e finanza), analizza i temi che Berlusconi ha già inserito nell’agenda di lavoro. Con passaggi eloquenti sugli equilibri interni a governo e centrodestra e un occhio puntato su Palazzo Marino. In molti lo considerano uno dei "pontieri" nei rapporti tra maggioranza e opposizione, di quelli già al lavoro per sondare il terreno, proprio sulle riforme.
Onorevole Volpi, qual è il dato saliente del voto per le regionali?
Vince la politica del territorio. In una campagna elettorale dove la tv non c’è stata, prende i voti chi lavora nel territorio coi suoi uomini, è un dato centrale, fatto di anni di lavoro nei comuni dai consiglieri fino ai ministri. Un rapporto che solo la Lega ha e ricorda il modo di fare politica dei partiti storici, quando la tv non era invasiva nè condizionante rispetto al voto.
Un messaggio al Pdl e a Berlusconi?
No. Il punto è che non si fa politica per prendere i voti ma si prendono i voti per fare politica. Vuol dire che si devono avere idee, presentarle e su questo fare una politica che poi ti permette di ottenere consensi. La Lega in questo momento prende tanti voti, a differenza ad esempio dell’Udc che ha fatto una politica contro la Lega e non avendo grande fantasia propositiva, specie al Nord, ha dato l’impressione di avere una linea ambigua, oltretutto alleandosi col fronte anticlericale come ha fatto in Piemonte, quindi dimenticando la sua storia.
L’avanzata del Carroccio sta agli atti di questa tornata elettorale, resta il fatto che ad eccezione del Veneto, il tanto famigerato sorpasso sbandierato da molti big leghisti non c’è stato e il Pdl resta saldamente il primo partito in Lombardia, Piemonte e ad esempio in Liguria nonostante la vittoria di Burlando.
Di sorpasso hanno parlato i giornali. In Veneto il risultato era palese, mentre in Lombardia non c’è mai stata da parte nostra una corsa al sorpasso. Non siamo dei centometristi ma dei maratoneti. L’aspetto centrale, secondo me, è che nelle regioni del nord vince la politica perché il confronto, grazie anche alla Lega, è stato fatto sui temi concreti. Lo ha riconosciuto persino il presidente Napolitano. Certo, adesso la sfida c’è perché aumentare i propri voti significa avere più responsabilità. Abbiamo due presidenti di Regione Cota e Zaia che hanno 41 e 42 anni e rappresentano una generazione politica che è cresciuta dal basso, si è formata sul territorio; eppoi abbiamo capitalizzato il lavoro fatto al governo del paese, non a caso negli indici di gradimento i ministri della Lega sono tra i più apprezzati.
Ma il copyrigth politico sul "governo del fare" appartiene al premier. Glielo vuole scippare?
Non rubiamo niente a Berlusconi, ma il punto è che la gente premia chi non parla troppo ma fa. Tanto è vero che nelle regioni del Nord come la Lombardia, la Lega prende voti e consiglieri, mentre ad esempio esponenti del Pdl ex An portano in consiglio regionale solo tre eletti. Forse dovrebbero chiarirsi con il loro ex leader storico che certamente con i suoi continui riposizionamenti non ha portato tantissima acqua al mulino del Pdl. Forse, servono meno convegni e più presenza sul territorio.
Il presidente Fini ammonisce sul fatto che il Pdl non deve andare a traino della Lega, semmai il rapporto va impostato a parti rovesciate. Secondo lei è così?
Siamo alleati assolutamente leali e non mi sembra ci sia una prevalenza della Lega sull’agenda politica del governo. Certo, per inserire temi in agenda bisogna avere delle idee e se l’idea del presidente Fini è parlare di cittadinanza facile agli immigrati non è un problema della Lega ma di tutta la maggioranza. Noi pensiamo a riforme per tutti, non a forzature per pochi.
Si è detto che questo voto rafforza la leadership di Berlusconi e il feeling con Bossi. Che ne pensa?
Vince il governo. Indubbiamente Berlusconi e Bossi sono i leader che si sono spesi in prima persona per modernizzare il paese.
Riforme: il premier ha tracciato la strada ma la sensazione è che al Carroccio interessi quasi esclusivamente il federalismo fiscale. E’ così?
Sono tre le riforme centrali: giustizia, federalismo fiscale e federalismo istituzionale. Considero interessante che su questo vi possano essere aperture dall’opposizione mentre fa sorridere che proprio ora, dopo le sconfitte clamorose subite al Nord, l’Udc si dica disponibile a sedersi attorno a un tavolo, come ha dichiarato Cesa. Lo avesse fatto un anno fa votando in parlamento il federalismo, magari avrebbe evitato di auto-isolarsi.
Berlusconi è disponibile al dialogo con l’opposizione, non ai veti e se non ci saranno le condizioni le riforme si faranno con la maggioranza. Da parte della Lega invece c’è sempre stato un atteggiamento più conciliante verso il Pd. Come si mediano le due posizioni?
Gli obiettivi sono i tre temi che ho appena indicato. La Finocchiaro dice sì al confronto ma senza forzature, mi sembrano questioni talmente ampie che non servono forzature. Quanto al presidenzialismo, si tratta di una innovazione che può essere declinata unicamente come forma di contrappeso, ovvero un parlamento forte e un federalismo vero.
Su questo punto la pensa più come Fini e meno come Berlusconi.
Io sono per il federalismo, se uno vuole parlare di presidenzialismo prima deve parlare di federalismo.
Sta dicendo che la Lega dice sì al presidenzialismo solo in cambio del federalismo?
Non c’è alcun baratto, mi pare un ragionamento logico. Del resto, gli americani hanno un federalismo forte, un congresso forte e un presidente forte. In altre parole, tre poteri che si confrontano ma che si bilanciano a vicenda.
Dopo il voto come cambia la geografia politica del centrodestra al nord, Lombardia compresa?
L’obiettivo è dare risposte certe ai territori e lo strumento saranno le politiche che in Piemonte e Veneto i nostri presidenti metteranno in campo. Sarà così anche in Lombardia con il ticket Formigoni-Gibelli e l’auspicio è che tutti gli attori di questa nuova fase siano impegnati nel consolidamento di azioni per lo sviluppo del territorio. Da questo punto di vista, credo che sarebbe sbagliato per tutti, compresi i grandi istituti bancari, sfuggire sia a una responsabilità precisa sia alla soddisfazione di partecipare a un cambiamento storico, perché si può essere istituti a livello internazionale restando agganciati alle realtà locali.
Dunque quali sono gli assi di sviluppo? Si guarda solo a quello che possono fare le regioni e gli enti locali oppure la partita riguarda anche il mondo della finanza?
Credo che i grandi istituti di credito siano protagonisti di un cambiamento che li veda sempre più vicini al territorio. Un allontanamento da una responsabilità così forte, sarebbe percepito dalle comunità locali i in modo negativo.
Pensa a qualche banca in particolare?
Penso a quegli istituti che hanno tra i loro azionisti le fondazioni.
Insisto, significa che la politica della regione condizionerà anche quella della finanza?
Non ci interessa che la politica eserciti condizionamenti, è importante che la politica possa condividere le scelte strategiche, non solo per uscire da un momento di crisi ma anche per costruire con tutti gli interlocutori intelligenti il futuro di un’area importante come il nord Italia, anzi come la Padania.
Secondo lei il voto delle regionali avrà effetti sugli equilibri del governo nazionale?
Non necessariamente. Non siamo andati a cercare voti per cambiare i nostri alleati ma per raggiungere l’obiettivo delle riforme.
Ma la poltrona di Zaia all’Agricoltura, la mollate o no?
Per noi l’agricoltura è parte fondante dell’economia del nostro paese. Siamo certi che il presidente Berlusconi saprà riconoscere il lavoro fatto in questi anni da Zaia che ha saputo cambiare i rapporti in questo settore, anche con l’Europa.
Tra Bossi e Berlusconi c’è un patto siglato prima del voto. Intendete rispettarlo?
Bossi e Berlusconi decideranno insieme.
Da Roma a Milano. Si dice che la candidatura per Palazzo Marino sia il vero obiettivo del Carroccio per il quale potrebbe cedere al Pdl il ministero di Zaia. Del resto, lo stesso Bossi si è già autocandidato alla successione della Moratti. E’ così?
La Lega non baratta le posizioni. Bossi sarebbe un ottimo sindaco di Milano a prescindere. Detto questo, probabilmente per il capoluogo lombardo servono politiche strategiche più ampie e più vicine alla gente rispetto a quanto di buono ha realizzato finora la Moratti. Forse serve far ritornare la politica più protagonista nella progettualità di una grande città come Milano. Noi parliamo sempre di obiettivi, non di poltrone.
Resta il fatto che quello su Milano è un obiettivo finalizzato a una poltrona.
Potrebbe essere una poltrona finalizzata a un obiettivo strategico per ridare nuova vitalità alla città.
Insomma, la Moratti proprio non vi piace?
Milano ha una storia di borghesia illuminata che nella seconda metà del secolo scorso ha saputo costruire la città che tutti conosciamo. Oggi, sono cambiate le condizioni economiche e sociali e forse non c’è più tutta quella borghesia illuminata. Noi siamo un movimento di popolo assolutamente in grado non solo di amministrare la città ma di farla diventare di nuovo capitale strategica e politica di quel nord che la scorsa settimana ha sancito un patto diventato realtà con la vittoria dei nostri presidenti in Piemonte e Veneto e la riconferma della Lombardia.
Prima dice che la Lega non chiede poltrone, poi fa intendere che quella di Zaia non siete tanto disposti a lasciarla e nel frattempo prenota quella della Moratti. Oltretutto dopo aver già strappato al Pdl che resta il primo partito al Nord e nel resto d’Italia, la candidatura di Cota e Zaia. Non le pare un tantino eccessivo?
Sono un fan speranzoso dell’azione di Caldoro in Campania. Voglio pensare che sarà un alleato forte delle nostre regioni nell’attuazione del federalismo. Sarebbe un gran bel segnale per il Mezzogiorno.
Non ha risposto alla domanda. E comunque su Milano La Russa ha detto che di candidature leghiste non se ne parla.
Lo sentiremo da Berlusconi, fino a prova contraria è il leader del Pdl.
Al Pirellone la vicepresidenza al leghista Gibelli ha un chiaro significato politico magari in chiave 2015. Volete blindare Formigoni?
Formigoni non ha bisogno di tutele ma di alleati fedeli e leali che diano il loro contributo nell’interesse dei cittadini.
Risposta evasiva. Parliamo di Venezia: il ministro Brunetta sospetta che la Lega non lo abbia sostenuto fino in fondo nella sua corsa a sindaco della città. Cosa risponde?
Certamente si sbaglia, perché da parte nostra non c’è stato alcun tipo di trabocchetto. Ci sono situazioni locali e del resto Venezia non è una piazza facile. Si pensa sempre alla Laguna ma il maggior numero di abitanti è a Marghera e Mestre. Può starci il fatto che noi abbiamo eroso voti in uscita dal bacino dei lavoratori della sinistra sulla presidenza della Regione e che gli stessi elettori non abbiano giudicato con altrettanta positività la figura del ministro candidato sindaco, ma la Lega si è comportata da alleato leale.
Nel Carroccio avanza una nuova classe dirigente, quella dei Cota e degli Zaia ma non solo. Significa che siete pronti al cambio generazionale anche ai piani alti di via Bellerio?
In Lega l’unico nome che conta è Umberto Bossi.
Anche se il nome di un futuro big sarà quello del figlio del Senatur, Renzo Bossi, oltretutto tra gli eletti più votati in queste regionali?
Vogliamo troppo bene a Bossi per pensare al dopo.