Walter prova a risolvere il dilemma europeo ma rischia di perdere pezzi
01 Dicembre 2008
Le correnti interne al Partito Democratico soffiano con sempre maggiore forza, sollevando malumori e maree e trasformando le fibrillazioni interne in vere e proprie scosse telluriche. Il momento è delicato. Sì, perché la questione della collocazione europea del Pd è uno di quegli snodi fondamentali che fin dal battesimo del nuovo partito sono rimasti sospesi in una zona grigia, in perenne attesa di risposta. E ora quel nodo viene clamorosamente al pettine senza possibilità di nuovi rinvii.
Il casus belli si riassume in un titolo: “People first. Una nuova direzione per l’Europa”. E’ questa la frase che campeggia nel manifesto del Pse che oggi i leader socialisti di tutta Europa firmeranno a Madrid in vista delle prossime elezioni europee. Per l’Italia il manifesto sarà firmato da Riccardo Nencini (Ps) e da Mercedes Bresso (presidente degli amministratori locali socialisti in Europa). Il Pd non firmerà il manifesto. Ci sarà, però, la firma di Piero Fassino come rappresentante dei Ds.
Una soluzione all’italiana che ha fatto scattare la reazione, con tanto di dichiarazione pubblica di un gruppo di ex uomini della Margherita piemontese. Parole di fuoco condite da una minaccia: se Fassino e la Bresso firmeranno il manifesto del Pse, fanno sapere, i vincoli di partito potranno considerarsi azzerati. Il nervosismo interno, insomma, cresce come si deduce anche dalle parole di Anna Finocchiaro che non esclude di candidarsi alla segreteria: una crepa che si va ad insinuare dentro muri un tempo immuni dalle infiltrazioni del malumore. Ma al di là delle schermaglie pre-congressuali quella dell’adesione al Pse è la vera discriminante per la sopravvivenza stessa del Pd.
L’ingresso tout court al gruppo dei socialisti europei è, infatti, la vera miccia che può portare alla scissione e alla fine del giovane partito, frutto dell’incontro tra gli ex comunisti e una parte degli ex democristiani. Naturalmente la via d’uscita non è facile da individuare. Se è chiaro che Veltroni non può presentarsi agli elettori senza dichiarare preventivamente dove si siederanno i suoi eletti nel Parlamento di Strasburgo, è altrettanto evidente che il Pd non può permettersi di diventare una sorta di isola dentro l’emiciclo della cittadina francese, troppo piccola per fare gruppo a sé e condannata alla completa irrilevanza politica.
La via che conduce alla Direzione del 19 dicembre, data in cui Veltroni lancerà la fase due del Pd e sfiderà gli avversari a uscire allo scoperto, appare insomma ricca di ostacoli e costellata di difficoltà. Il dilemma di Walter, insomma, è ancora lontano da una soluzione vera e propria. Tant’è che a segnare ancora di più i diversi territori di appartenenza europea ci penseranno gli ex margheritini che il 4 e 5 dicembre saranno a Bruxelles al Terzo Congresso del Pde. Della delegazione italiana faranno parte Francesco Rutelli, il numero due di Veltroni, Dario Franceschini e Beppe Fioroni.
Un bel guazzabuglio e una divisione plastica visto che in quella sede tornerà a risuonare il grido “mai nel Pse”. “Il profilo politico del Pd non può essere confuso – e tantomeno confluire, com’è ovvio – con la storia, l’esperienza e il progetto del Partito socialista europeo" dichiarava alcuni giorni fa Giorgio Merlo. “Su questo versante” secondo Merlo, "il Pd gioca una partita politica decisiva per la stessa costruzione del suo progetto politico. Per questo vanno banditi, anche se comprensibili, gli atteggiamenti nostalgici con lo sguardo rivolto all’indietro. Il Pd ha un futuro se la sua prospettiva non viene confusa o annacquata nel Pse. E questo, senza polemiche, è bene dirlo ad alta voce". Di fronte a questa ebollizione interna la posizione scelta da Veltroni è quella di lavorare per dare vita a un gruppo totalmente nuovo in Europa. Un gruppo “democrat”, autonomo sia dal Pse che dai liberali, ma certamente collegato con gli altri gruppi riformisti, in primis con i socialisti magari attraverso una federazione. Una soluzione di compromesso per raggiungere la quale il segretario del Pd dovrà esercitare tutta la sua arte retorica e farsi valere anche con i leader del centrosinistra europeo, tutt’altro che smaniosi di abbattere la loro casa europea per costruirne una nuova.