“We Are the World” ha segnato la fine del rock come lo conoscevamo
27 Giugno 2009
In questi giorni basta accendere la radio o la tv per essere sommersi da immagini suoni e parole di e su Michael Jackson. Tre generazioni a cavallo fra gli anni Settanta e gli anni Novanta sono cresciute sotto l’alto patronato di Jacko e la parola che si ripete più spesso in queste ore è moonwalking, tanto che da un momento all’altro sembra che tutti debbano cominciare a muoversi in questo modo. L’uomo dalla camminata lunare ha ipnotizzato i quarantenni (di oggi) che nel ’79 ballavano discodance al ritmo di Don’t Stop Til You Get Enough, ma anche gli Under 30 che da ragazzi scoprirono la musica di Jacko rigorosamente su audiocassetta (e gli Under 20 che lo hanno conosciuto su You Tube).
Oggi tutti s’interrogano attoniti sulla morte della pop star. Qualcuno ricorda che il personaggio di Thriller e Bad, nella vita privata, era il contrario di quello che appariva sullo schermo – una persona fragile e all’apparenza mite e buona (basta guardare alle sue fondazioni, charities e donazioni). Chi ne critica l’ansia di accreditarsi tra i bianchi (la celebre uscita dalla Casa Bianca al fianco di Ronald Reagan) o il desiderio di modificare il proprio aspetto: si era operato al naso sbriciolandone ogni cartilagine e per domare i ricci afro usava potentissimi acidi per capelli.
Ma prima di giudicare le scelte personali di un’artista sarebbe opportuno guardare alla sua eredità musicale. E se vogliamo fare una considerazione prettamente legate alla storia del pop, sperando di non apparire troppo ingrati, va ricordata quella leggendaria operazione commerciale che va sotto il nome di We Are The World. Nel 1985, il rock perse la sua verginità. L’originale carica dirompente e sovversiva di questo genere musicale – dei grandi concerti come Woodstock, di band come i Led Zeppelin o i Dire Straits – trapassò nei “mega-eventi” alla We Are The World, facendo i conti con il marketing della solidarietà che ancora oggi va per la maggiore nell’industria musicale. Una formula dal successo assicurato e di portata globale che ha fatto la fortuna degli artisti pop.
In quel momento si compie la definitiva trasformazione di Jackson in “icona pop” e la sua immagine si declina praticamente in tutte le forme dell’entertainment, dalla musica al cinema al merchandise. Basta guardare alla quantità sconfinata di mimi e istrioni che in questi anni hanno imitano Michael Jackson. Paradigmatico il sosia che appare in un’esilarante scena di Scary Movie 3, perfetto esempio di citazione subliminale che dal cinema porta alla vita privata di Jackson (quando il Nostro fece penzolare suo figlio dall’ultimo piano dell’Adlon Hotel di Berlino come se volesse darlo in pasto alla folla). Realtà e finzione si mescolano ed è per questo che non dimenticheremo Jackson tanto presto, neanche se volessimo. La sua immagine è destinata a moltiplicarsi all’infinito nello spettro deformante del nostro inconscio culturale.