Welfare: la sinistra radicale punta all’obiettivo, e quella moderata?

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Welfare: la sinistra radicale punta all’obiettivo, e quella moderata?

03 Agosto 2007

La maggioranza è divisa sulle questioni economiche e
sociali, cioè su tutto quello che ora si raccoglie sotto all’espressione
welfare. Ma le divisioni dell’attuale centrosinistra non sono state sufficienti
a far cadere il governo e, viste separamente dal resto delle contese che
impediscono una vera operatività a Palazzo Chigi, non sono neppure state
maggiori o più intense di quelle che agitarono i sonni della precedente
maggioranza sugli stessi temi. Però, il governo guidato da Silvio Berlusconi,
malgrado la delicatezza dei temi (testimoniata drammaticamente anche dalla
sorte di Marco Biagi e D’antona, uccisi dalle brigate rosse proprio per la loro
fattiva attività di riformatori) è riuscito a portare a compimento la
realizzazione della legge Biagi sul lavoro, per dare, tra l’altro, un assetto
più regolato al fenomeno dei contratti non a tempo indeterminato, e ad
affrontare in modo deciso la questione previdenziale con lo scalone, rozzo
finché si vuole ma efficace, se non altro come pungolo a mettere mano alle
norme del settore.

Il sindacato, con Prodi, è arrivato a conclusioni separate,
ma meno di quanto fosse successo con il governo precedente e con il sofferto
approdo del patto per l’Italia, che ebbe la firma di Cisl e Uil e non quella della
Cgil. Il protocollo di Prodi ha avuto il sì dei tre sindacati maggiori, anche
se, come è noto, la firma della Cgil è arrivata dopo una serie di lacerazioni
interne, di distinguo, di ricordi a procedure bizantine, come la firma per
presa d’atto e da ultimo l’accettazione inviata per posta e non andando
personalmente a Palazzo Chigi (un modo per togliere solennità all’adesione da
parte della Cgil). Lo stesso protocollo però scontenta gravemente i partiti
della sinistra comunista e verde (quella che per Prodi è la sinistra popolare e
per Alfonso Pecoraio Scanio è la sinistra arcobaleno), già pronti a
mobilitarsi, assieme ai non pochi ex diessini contrari alla confluenza nel
partito democratico, perché del protocollo non resti nulla e perché, anzi,
vengano aggiunte parti in grado di smontare la legge Biagi e di introdurre
ulteriori vincoli.

La sinistra comunista e verde (prendiamo le definizioni che
usano per presentarsi ai loro elettori), però, almeno è riuscita a segnare un
punto politico, rimarcando la propria esistenza e aprendo un canale diretto di
dialogo con il presidente del consiglio, in vista di una serie di richieste da
portare all’incasso al rientro dall’interruzione estiva. La parte moderata o
più centrista della maggioranza, invece, ha solo prodotto qualche intervista
buona per rassicurare gli amici confindustriali e bocconiani, ma molto poco di
concreto. A dispetto della loro stessa autodefinizione i “coraggiosi” di
Francesco Rutelli, per quanto scrivano ad esempio in lunghi articoli su La
Stampa, non hanno saputo veramente entrare nel merito delle questioni sociali.
L’impressione è che la sinistra comunista e verde abbia ancora (forse grazie ai
validi legami con esponenti sindacali di buon spessore tecnico) la capacità di
leggere i documenti e di capire almeno di cosa sta parlando, mentre i
coraggiosi e gli altri si nutrano solo di slogan giornalistici.

Si potrebbe
spiegare così l’imperizia del protocollo di Prodi già sottoposto a critiche
serrate da parte degli studiosi, come Tito Boeri, in grado di mantenere una visione
favorevole al centrosinistra ma non per questo asserviti a logiche di puro
schieramento politico. Boeri ha contestato come sostanzialmente nemiche dei
giovani precari (proprio quelli che i coraggiosi vorrebbero difendere e
conquistare come nuove fasce di elettorato) alcune parti dell’accordo, a
partire dalla decontribuzione degli straordinari. Il suo ragionamento si può
riassumere in uno schema semplice: gli straordinari sono uno strumento a favore
di chi ha già un lavoro e perciò non interessano affatto i precari. Ogni
decontribuzione, poi, comporta una redistribuzione del carico contributivo e
questo ha un effetto perverso proprio sui precari, in quanto è su di essi che
viene caricato il mancato gettito a favore del sistema previdenziale (d’altra parte
diverse recenti decisioni del governo, a partire da alcune norme della
finanziaria, tendono a rendono più pesanti i contributi a carico del lavoro non
continuativo e a tempo determinato).

L’impressione, insomma, è che mentre la sinistra comunista e
verde e i diessini scontenti, per il tramite di alcuni settori sindacali, hanno
individuato con chiarezza e coerenza i loro interlocutori e gli interessi che
intendono difendere, lo stesso non può dirsi della parte centrista e vagamente
liberale della maggioranza. Ma senza interlocutori chiari e senza interessi da
tutelare è difficile fare politica. Un problema che non tarderà a emergere
negli schieramenti favorevoli al partito democratico e che potrà portare a
Prodi più difficoltà di quelle causate dalle bizze, sempre gestibili come si è
visto, della sinistra-sinistra.