Wilders non decolla ma l’Olanda è cambiata lo stesso

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Wilders non decolla ma l’Olanda è cambiata lo stesso

16 Marzo 2017

Oggi leggeremo che ai quarti di finale del voto “populista” contro quello della “stabilità”, le elezioni politiche in Olanda (prima delle semifinali in Francia e della finalissima in Germania), ha vinto la continuità. Il premier liberalconservatore Rutte, se resterà tale per il terzo mandato, ha ancorato l’Aja in Europa. Gli olandesi, popolo di mercanti, hanno scelto di non rottamare la globalizzazione e le politiche immigrazioniste. Ma è tutto cosi semplice? L’onda iniziata con Brexit e proseguita con Trump si infrange contro la delusione di Geert Wilders, il leader anti-islamico olandese che sognava 30 seggi e si ferma a 20 (più 5 rispetto alle elezioni del 2012)?

In realtà, Brexit non è Trump, Trump non è la Le Pen, Marine non è Geert Wilders, dato favorito nei sondaggi, sondaggi che anche questa volta hanno toppato. Wilders non ha sfondato, anche se ha vinto a Maastricht, là dove l’Europa che conosciamo è iniziata. Rutte, che ha evitato di essere travolto mostrandosi un politico accorto, ha perso numerosi parlamentari (il VVD praticamente dimezza la sua presenza parlamentare, perdendo oltre quaranta seggi), mentre il suo grande sfidante, Wilders arriva a 20 seggi. “Rutte non mi ha tolto di mezzo,” ha twittato Geert, che non si arrende. “Il genio non potrà essere rimesso nella lampada”, ha detto ai suoi. Franano i laburisti, che perdono uno sproposito di seggi pagando il sostegno alle politiche del rigore; la grande sorpresa sono i Verdi, che dopo una campagna elettorale europeista e “open border” quadruplicano la loro presenza nel Binnenhof.

Sono storie diverse anche perché nella Olanda proporzionale, a differenza di Brexit o Trump, dove era chiaro chi vinceva prendendo il 50 per cento dei voti più uno, capiremo davvero chi ha vinto solo quando sapremo quale governo e quale premier guideranno il Paese. Questo vuol dire pure un’altra cosa, che la palla al centro ai “quarti di finale” olandesi non pregiudica una eventuale semifinale vinta dalla Le Pen, visto che in Francia lo schema torna quello del 50 più uno. In Olanda invece non si capisce quale coalizione potrebbe formarsi dopo che tutti i partiti in campagna elettorale hanno promesso di non allearsi con Wilders. Lui si dice pronto a farlo, ma il rischio è la ingovernabilità, di esempi in Europa ne abbiamo già visti, le repliche del voto in Spagna ad esempio, un risultato, la instabilità, che è anche peggio della “vittoria dei populismi“.

Rutte ha evitato il disastro; il giovane premier olandese aveva intuito la mala parata, ricalibrando la sua campagna sui temi del contrasto alla immigrazione clandestina, fino a questi giorni, con la escalation aperta con la Turchia respingendo ai confini olandesi i ministri venuti a fare campagna elettorale per il referendum presidenziale di Erdogan. Una mossa utile a non perdere, del tutto, il suo feeling con l’elettorato tradizionalista ma moderato del Paese. Peccato però che era stato proprio Wilders a chiedere a Rutte di respingere i ministri turchi.

Rutte si è adeguato, dimostrando di avere coraggio. Per una volta, un pezzo della élite europea non si è inchinata al politicamente corretto, cioè all’idea che la Turchia di Erdogan bisogna tenersela buona qualsiasi cosa faccia, e pagarle anche gli alimenti. L’Olanda, in fin dei conti, sta cambiando e chi ci vive sa che la battaglia contro l’islamizzazione non è “fascismo”, se mai antifascismo, come pure sa che il regime culturale su cui si era fondato il sogno progressista nordeuropeo, il multiculturalismo, oramai è fallito. Lo sa Wilders, lo sanno gli olandesi e adesso lo sa anche Rutte.