Wilma Montesi, il primo caso di nera che travolse l’establishment politico

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Wilma Montesi, il primo caso di nera che travolse l’establishment politico

09 Agosto 2010

Comincia da oggi l’appuntamento del lunedì che riattraversa i più clamorosi "fattacci" di questo paese. La cronaca nera per anni è stata una delle poche letture davvero popolari in grado di avvicinare quelle che un tempo si soleva chiamare masse alla comprensione di un Italia che stava cambiando vorticosamente, trascinandosi fuori dalle miserie della guerra verso la modernità. Un paese di migranti, ex-contadini, che prima dell’avvento della televisione aveva nei quotidiani uno dei pochi strumenti per avvicinarsi alle istituzioni, alla vita democratica. E la nera in questo senso fu un formidabile collante. Basti pensare allo scandalo Montesi (siamo nel 1953), che portò alle dimissioni di un sottosegratario della Presidenza del Consiglio, nonchè ministro degli Esteri e segretario della D.C., Attilio Piccioni. Uno dei primi casi, se non il primo, in cui il restroscena di un delitto (che nemmeno fu tale) portò allo scoperto i vizi della classe politica dirigente, e alla formazione di un’opinione pubblica in grado di far cadere illustrissime teste. O a quei processi per incastrare i colpevoli di delitti efferati, seguiti quanto una finale di coppa del mondo. Anche grazie a cronisti dell’epoca, appassionati, liberi di raccogliere notizie dalla strada, dai corridoi di commissariati e stazioni dei carabinieri, dalle stanze delle squadre mobili delle questure, perfino dalle corsie degli ospedali. Un giornalismo sicuramente picaresco, non infarcito di belle penne, ma popolato di "mestieranti" che arrivavano dappertutto.

Tutto ha inizio l’11 aprile del 1953. Sulla spiaggia di Torvajanica un operaio scorge il cadavere di una ragazza sulla battigia. Il volto è affondato nell’acqua, al corpo manca un complicato reggicalze "costellato" di gancetti. Quella giovane donna è Wilma Montesi, 21 anni, figlia di un portinaio presso uno stabile di via Tagliamento, strada signorile della Capitale. Era scomparsa il pomeriggio prima, i familiari, allarmati, l’avevano cercata negli ospedali per poi decidersi a denunciarne la scomparsa alla polizia.

Da qui prende vita uno dei più ingarbugliati casi della cronaca nera italiana. Una morte che trascina con sè l’establishment politico dell’epoca, sollevando per la prima volta nell’Italia repubblicana il velo sui vizi della classe dirigente. Una trama fitta di colpi di scena e personaggi che oggi potrebbero essere paragonati a quel Gianpaolo Tarantini procacciatore di escort e ad accusatrici tutt’altro che disinteressate come Patrizia D’Addario.

Dal ritrovamento del cadavere le indagini portano a una prima soluzione. Wilma, il pomeriggio precedente alla sua scomparsa, ha preso da sola i mezzi pubblici, poi il trenino per Ostia, e ha raggiunto la spiaggia perché voleva tentare di alleviare un fastidioso eczema al tallone immergendolo nell’acqua di mare. Sua sorella spiega agli investigatori che era stata lei stessa a manifestarle questa intenzione. La morte sarebbe stata provocata da una"sincope provocata dall’azione perfigerante dell’acqua di mare e dallo stato di debolezza indotto da sindrome premestruale". Il corpo serebbe poi stato trascinato da Ostia a Torvajanica a opera delle correnti. Insomma, Wilma è morta per un pediluvio azzardato nei giorni "critici". Un’ipotesi a dir poco traballante agli occhi dei cronisti. Eppure gli organi di polizia giudiziaria scavano subito nella vita privata della Montesi.

Tutti, dai suoi familiari ai casigliani di via Tagliamento, al fidanzato (agente di pubblica sicurezza) la descrivono come una ragazza di "assoluta moralità". E nell’Italia del 1953 le maglie sul comune senso del pudore sono molto strette. Wilma non ha una doppia vita, non ha segreti. L’esame del medico legale esclude qualsiasi segno di violenza su quel corpo, anche sessuale: la ragazza era vergine. Improbabile anche la tesi del suicidio. Ma poche settimane dopo è il quotidiano Roma a scartare la soluzione dell’incidente con un articolo dal titolo inequivocabile: "Perché la polizia tace sulla morte di Wilma Montesi?". A stretto giro un’altra testata, Il merlo giallo, pubblica una vignetta in cui un piccione vola in questura tenendo nel becco il reggicalze mai più ritrovato. Sta per esplodere il caso.

Nelle redazioni gira da tempo una voce: Piero Piccioni, brillante musicista e soprattuto figlio di Attilio Piccioni, vale a dire il delfino di De Gasperi, nonché ministro degli Esteri e segretario della Dc, è coinvolto nel caso Montesi. Il giovane e affermato artista, soprannominato dalla stampa "il biondino", fidanzato con la bellissima attrice e cantante Alida Valli, avrebbe portato il reggicalze di Wilma dal questore di Roma Saverio Polito, chiedendogli di tirarlo fuori da quella brutta storia. Il giornale comunista Vie Nuove mette per iscritto quella voce. Piero Piccioni querela il giornalista per diffamazione, il quale ritratterà. Ma nel frattempo i cronisti non sono rimasti a guardare.

L’ipotesi dell’incidente viene smontata con un lavoro meticoloso, e anche con uno spirito di iniziativa quanto mai raro ai giorni nostri. C’è chi, cronometro alla mano, percorre lo stesso tragitto effettuato da Wilma il giorno della sua scomparsa e nota che gli orari ricostruiti dalla polizia non collimano. Altri "controinterrogano" i testimoni che avevano raccontato di aver visto la giovane sul trenino per Ostia, o alla stazi one vicino al litorale, scoprendo che uno è miope, o che un altro non ricorda nemmeno gli abiti della ragazza. E non manca chi intervista luminari della ginecologia, che escludono il decesso dovuto a un banale pediluvio durante il ciclo.

Al coro di chi vede in Piccioni il personaggio chiave del giallo si allinenano molti quotidiani, Paese Sera in testa. La stampa ha un sospetto d’eccezione, il rampollo del più eminente erede politico di De Gasperi, un alfiere di quel centrismo democristiano che di lì a qualche anno sarà soppiantato. E la chiave di lettura, la logica dello scandalo Montesi, ad anni di distanza, sembra essere tutta qui. Attilio Piccioni ha dei nemici in seno al partito, "giovani" di razza come Amintore Fanfani, Aldo Moro, Mariano Rumor. E poi ci sono i comunisti, che non hanno perdonato quella "legge truffa" voluta da De Gasperi e che proprio nel giugno del 1953 potrebbe portare al partito o alla coalizione in grado di ottenere il 50% de i voti più uno, un premio di maggioranza tale da garantire il 65% dei seggi. Col senno di poi dire che lo scandalo Montesi abbia contribuito a danneggiare questo disegno non è un azzardo.

Lasciate alle spalle le elezioni, dove il raggruppamento elettorale guidato dalla Dc perde per un soffio il traguardo della maggioranza assoluta e il relativo "premio", il caso Montesi si arricchisce di un altro, clamoroso, colpo di scena. Il 6 ottobre Adriana Concetta Bisaccia, aspirante attrice di 23 anni, rilascia un’intervista a Silvano Muto, direttore della rivista scandalistica Attualità. Narra di aver conosciuto Wilma Montesi poco prima della sua morte presso la tenuta di Capocotta, appartenente al marchese Ugo Montagna, durante un festino a base di sesso e droga. Una notte sfrenata a cui avevano partecipeto molti personaggi in vista, tra cui Piero Piccioni. Wilma avrebbe avuto un brutto malore provocato da un cocktail micidiale di alcol e stupefacenti. Partono nuove querele, la Bisaccia ritratta, il giornalista Muto lo fa in un primo momento, poi decide di difendere la "bontà" del suo articolo. La sua verità sembra traballare, quando entra in scena la grande accusatrice, Maria Augusta Moneta Caglio Bessier D’Istria, subito soprannominata Cigno Nero dai cronisti per il suo bel viso incorniciato dai capelli corvini e per il suo lungo collo. E’ lei a confermare il racconto della Bisaccia attraverso una deposizione alla magistratura, ignorata in un primo momento, e tramite un memoriale affidato a un sacerdote gesuita molto influente, il quale ne fa pervenire una copia addirittura al Papa.

Il Cigno Nero è stata l’amante del Marchese Montagna, verso cui non nasconde il rancore per essere stata scaricata, sia sentimentalmente sia professionalmente, escludendola da quel bel mondo a cui la ragazza aspirava, magari con una carriera da attrice. Invece anche lei, come Adriana Bisaccia si era fermata al ruolo di intrattenitrice in quel sottobosco di Vip, politici e insospettabili dediti a trasgressioni inimmaginabili per quei milioni di lettori che divoravano le vicende più torbide scatenate dalla morte della povera Wilma. Il racconto della grande accusatrice viene ritenuto credibile, anche (guarda caso) dal ministro dell’Interno in carica Amintore Fanfani, il quale fa in modo che la querela verso il giornalista Silvano Muto cada.

Le indagini ripartono ufficialmente, affidate a un ufficiale dei carabinieri, Umberto Pompei, poi promosso (un’altra combinazione) generale. Pompei scava nella vita del marchese Montagna. Un faccendiere abile nell’organizzare eventi mondani, ben agganciato nel bel mondo e tra i politici che contano. Non solo: il nobiluomo, dagli ascendenti pur tuttavia non proprio cristallini, è stato un informatore dell’OVRA, la polizia politica fascista, durante il ventennio. Poi ha fatto affari con i nazisti. Particolari che con la morte di Wilma Montesi nulla hanno a che fare, ma che stimolano nell’opinione pubblica un sentimento di indignazione verso quella "pastetta" tra ruffiani d’alto bordo, accompagnatrici, politici e Vip. Si arriva al 1954, la procura di Roma dispone l’arresto di Piero Piccioni per omicidio colposo e quello di Ugo Montagna e del questore Saverio Polito per favoreggiamento.

A questo punto Attilio Piccioni, sull’onda dello scandalo, si dimette da tutti gli incarichi. Il 20 giugno 1955 il giovane Piccioni e Montagna sono rinviati a giudizio. Nel frattempo viene suggerita un’altra ipotesi, forse da personaggi vicini all’ex delfino di De Gasperi, quella dello zio Giuseppe. Dalle colonne del Messaggero si insinua il sospetto che a uccidere Wilma sia stato Giuseppe Montesi, zio della vittima. L’uomo appare bizzarro, e poi è reticente nel fornire un alibi credibile, ma le indagini non portano a nulla. Dopo due anni il processo si chiude con l’assoluzione (con formula piena) di Piero Piccioni, Ugo Montagna e del questore Polito. Le prove raccolte per sostenere la versione del Cigno Nero sono inconsistenti, e il principale accusato ha sempre fornito un alibi. La sera del presunto delitto era a Ischia con la sua fidanzata Alida Valli, per di più costretto in casa da un’otite, con tanto di certificato medico.

Tutto sembra tornare nel suo alveo. Tra quei cronisti che tante piste avevano battuto c’è chi si interroga se una ragazza oggettivamente semplice come Wilma potesse nascondere a tutti una doppia vita così ingarbugliata, qualcuno intuisce che tutta quella mole di notizie, indubbiamente appetibilissime, forse è stata seminata con abilità. E che quella morte sia stata una vera e propria benedizione per molti personaggi "in alto". Tanto che a un certo punto di Wilma non si parlava quasi più, relegata sullo sfondo mentre la battaglia politica veniva portata avanti a colpi di scandali e "sensazionali rivelazioni".