Wolverine è uno di quei mutanti che sanno fare bene il lavoro sporco

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Wolverine è uno di quei mutanti che sanno fare bene il lavoro sporco

02 Giugno 2009

Wolverine è rimasto per un bel po’ in testa al box office confermando la capacità dell’universo supereroistico di saper riuscire a superare i confini del genere e il mero interesse dei nuovi e vecchi lettori di fumetti, riuscendo a consegnare al pubblico cinematografico una rappresentazione fotografica – per quanto fantastica – dello spettro di pulsioni, paure, aspirazioni, sedimenti di memoria storica, depositati sul fondo della coscienza popolare.

Il film di Gavin Hood racconta fedelmente l’epopea di Logan, mutante dagli artigli di adamantio privato della memoria che, deciso a vendicare il suo amore e il passato da supersoldato, sceglie il nome di battaglia “Wolverine”, la divinità indiana che fu separata con l’inganno dalla luna sua amante. Ispirandosi alle origini datate 1963 del fumetto Marvel degli X-Men firmate dal leggendario duo Stan Lee-Jack Kirby, il regista lascia che la storia di Wolverine si intrecci con le origini del gruppo e la missione di Charles Xavier, il suo fondatore. Xavier sta cercando di riunire in una scuola i giovani mutanti per insegnargli a gestire i propri poteri in armonia con gli uomini.

Ma al di là dei padri storici della Casa delle Idee, la serie “The Uncanny X-Men” e quindi il film di Hood devono le loro fortune in grande parte a Chris Claremont, autore che prese le redini della testata nel 1975, rinnovando i profili dei personaggi, creandone di nuovi e rendendo la battaglia contro la discriminazione delle diversità la morale di fondo di saghe entrate nella storia del fumetto come “God Loves, Man Kills” del 1982 scritta da Claremont e disegnata da Brent Eric Anderson.

Diversità: i mutanti non sono dei “semplici” supereroi, sono infatti qualcos’altro, sono esseri umani il cui codice genetico ha subito una mutazione naturale e sono considerati dagli scienziati “Homo Sapiens Superior”. Le loro anomalie fisiche, i loro poteri sono visti con diffidenza. L’arci-nemico degli X-Men, Magneto, è ebreo, ha visto la sua famiglia sterminata nei campi di concentramento e si batte tra i mutanti per costituire una confraternita che muova la guerra agli uomini prima che essi riservino ai mutanti il destino cui furono condannati gli ebrei in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale.

Quale mutante Wolverine è dotato di peculiarità e capacità eccezionali. Riesce a riconoscere attraverso l’olfatto le situazioni di pericolo, è dotato di un fattore autorigenerante che non lo fa invecchiare e che gli permette di guarire da qualsiasi ferita e soprattutto possiede per ciascuna mano tre artigli, protuberanze ossee, che può far uscire a piacimento dalle nocche delle mani e con cui si getta senza paura in qualsiasi battaglia. Letteralmente in qualsiasi battaglia perché Logan le ha combattute tutte, le guerre americane, da quando nacque nel 1845 e divenne fuggiasco per via della sua diversità si è arruolato nelle battaglie per l’affrancamento dal colonialismo europeo, per la Frontiera, la Grande Guerra, la Seconda Guerra Mondiale, Corea, la Guerra Fredda, Vietnam.

Wolverine è piccolo, iracondo, bevitore di birra, aggressivo, è una macchina da guerra umana, pardon mutante. Ambienti deviati dei servizi militari lo utilizzano per sperimentare sul suo scheletro una lega indistruttibile, l’adamantio. Indimenticabili sono le tavole del pittore Barry Windsor Smith in “The Weapon X”, saga che ripercorre i momenti dell’esperimento e la drammatica fuga per le nevi delle montagne rocciose.

Wolverine ha rappresentato il primo prototipo di nuovo eroe: psicopatico, giustiziere, assassino, spia, aiutando le fortune di lavori come la splendida “Nemico Pubblico” di Mark Millar per le matite di John Romita Jr  o anche di maestri come un certo Frank Miller, che proprio a partire da una collaborazione come disegnatore per una saga di Claremont (“Wolverine”), inizierà ad esplorare dal di dentro la potenzialità estetica delle esplosioni di violenza quando legate a doppio filo alla sete di giustizia.
Nell’universo Marvel, il personaggio di Wolverine ha impersonato un certo spirito guerriero che si agita dentro la pancia dell’America e che grazie a Dio, nei momenti topici della storia contemporanea, ha preservato il mondo da dittature e da aberranti concezioni sociali e politiche.

La sua eccezionalità, la sua voglia di non scendere a compromessi, di andare fino in fondo alla verità delle cose spesso finisce per mettere Wolverine al centro di oscuri complotti, provocandone reazioni che lo fanno apparire pericoloso, instabile, ingiustificatamente violento, ma alla fine è sempre lui quello che fa il lavoro sporco, che toglie le castagne dal fuoco: un destino che sembra accomunarlo al suo Paese.