Zapatero riforma il lavoro ma i mercati hanno perso fiducia nella Spagna

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Zapatero riforma il lavoro ma i mercati hanno perso fiducia nella Spagna

18 Giugno 2010

L’esordio della nazionale spagnola ai Mondiali in Sudafrica è stata simile alla fine della presidenza spagnola nell’Unione Europea: deludente. Questa almeno è la sensazione che gira negli uffici di Bruxelles e in quelli del Fondo Monetario Internazionale dove, da qualche tempo, circolano le indiscrezioni che l’economia spagnola sia vicina al collasso. Alcuni giorni fa, poi, rumors raccontavano di un piano pronto per salvare sia la Spagna che il futuro dell’Eurozona intera. Ma il premier Zapatero, durante il vertice del Consiglio Ue in cui ha fatto il passaggio di consegne con i rappresentanti belga, ha negato la necessità di ricorrere agli aiuti europei e ha nuovamente difeso la stabilità delle casse spagnole. Senza però convincere fino in fondo.

Le pressioni internazionali sul governo Zapatero – giunte all’apice con la telefonata di Obama al premier socialista – hanno forzato l’Esecutivo di Madrid ad adottare misure drastiche in materia economica per cercare di rimettere in sesto la macchina produttiva spagnola. Ma da Bruxelles, appena pochi giorni fa le misure di austerity – che dovrebbero portare al risparmio di 15 miliardi in due anni – sono state giudicate insufficienti ed è stato chiesto un ulteriore taglio del 1,75% de Pil per il prossimo anno, cioè dello 0,75% in più di quanto previsto finora. Per questa ragione, il primo ministro si è visto “costretto”, come da lui stesso riconosciuto, ad intervenire con urgenza modificando settori difficili come la riforma del mercato del lavoro.

Sul tavolo, quindi, è arrivato un progetto per ridurre la precarietà, dare maggiore flessibilità del lavoro e stimolare le nuove assunzioni (a fronte di un tasso di disoccupazione del 20 per cento) e la produttività del Paese. Una mossa che piace a pochi: i sindacati hanno risposto annunciando uno sciopero generale per il prossimo 29 settembre, e per il presidente della Ceoe (la Confindustria spagnola) “si tratta solo di una riformina”. Lo stesso ex ministro dell’Economia Pedro Solbes – che lasciò l’incarico più di un anno fa per le forti discrepanze con Zapatero – ha messo in dubbio la reale portata della misura, considerandola insufficiente per tirar fuori la Spagna dalla crisi.

Secondo alcuni esperti economisti, infatti, si tratterebbe di una “riforma virtuale” perché non ha avuto il coraggio di abbattere fino in fondo l’influenza sia della magistratura che dei sindacati, considerati da molti i veri ostacoli ad un mercato del lavoro dinamico. Infatti, la vera novità della nuova legge è l’idea secondo cui, tra le cause per mandare a casa un lavoratore, una società possa appellarsi alle difficoltà economiche e licenziare sulla base di un risarcimento pari a 20 giorni lavorativi all’anno. La norma però non definisce che cosa si intende per “situazione economica negativa”. Spetterà alla libera interpretazione dei giudici del lavoro determinare se è giustificato il licenziamento “per cause obiettive”: un fatto che non solo allunga il processo, ma favorisce l’intervento delle toghe e introduce l’incertezza nelle decisioni imprenditoriali. Secondo la norma, inoltre, potranno appellarsi a questa nuova misura le imprese che possono dimostrare 6 mesi di perdite nei loro bilanci. Ma in Spagna, come in Italia, il 90 per cento del tessuto imprenditoriale è costituito da piccole e medie imprese, molte delle quali non riuscirebbero a rimanere in piedi per un periodo così lungo.

Altra novità della riforma del lavoro poi è il risparmio relativo ai costi del licenziamento. D’ora in avanti, il calcolo della liquidazione verrà fatto e generalizzato sulla base di 33 giorni di indennizzo annuali (alcuni contratti prevedono oggi 45 giorni), con un contributo di 8 giorni versato dal Fogasa, il fondo di garanzia salariale alimentato dai “versamenti” dei lavoratori, dotato di 4 miliardi di euro di disponibilità. Secondo gli esperti, però, quel “risparmio” sarà a carico delle imprese, già colpite duramente dall’aumento dell’IVA che parte dal prossimo 1° luglio.

I critici della legge mettono poi in evidenza come il governo abbia lasciato intatto l’enorme potere sindacale nella negoziazione dei contratti collettivi. Temi fondamentali per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro, come la riforma delle condizioni di contrattazione (essenziale per dare lavoro a giovani, disoccupati, lavoratori poco qualificati e i maggiori di 45 anni) e il collegamento degli stipendi alla produttività, sono stati messi da parte. Per di più, il rinvio al 2012 dell’applicazione del modello austriaco di lavoro (con la creazione di un fondo di capitalizzazione personalizzato al posto dell’indennizzo per licenziamento che permette l’accumulo di una liquidazione lungo tutta la carriera lavorativa) ha lasciato interdetti anche i più entusiasti della riforma.  

Intanto, la situazione finanziaria spagnola non migliora affatto. Il debito spagnolo rincara (l’interesse a pagare i titoli di stato si è perfino triplicato) e aumenta il rischio del contagio in Europa. In un articolo del Financial Times si legge che gli analisti della JP Morgan considerano “incerto” il futuro delle banche iberiche. In Spagna, infatti, il 60 per cento dei crediti del sistema bancario sono legati al mercato immobiliare, lo stesso che creò una bolla di circa il 50 per cento del suo valore. Al contrario del sistema americano, il sistema finanziario spagnolo non venne ricapitalizzato dal governo ma dai prestiti della BCE, per di più ad un prezzo elevatissimo. Quest’anno le banche dovranno rifinanziare nientemeno che 64 miliardi di euro e, come ha affermato Francisco González, presidente del BBVA (uno dei gruppi bancari spagnoli più potenti al mondo), “per la Spagna il mercato dei capitali si è chiuso, sia per il settore pubblico che per quello privato”. In altre parole, secondo JP Morgan, per Madrid il rischio d’insolvenza è reale. E la volatilità negli ultimi giorni della borsa spagnola (che è arrivata a perdere un 14 per cento) ne sarebbero la prova.

Non è un caso, quindi, che le indiscrezioni su un piano d’aiuti da 250 miliardi per salvare la Spagna siano apparse proprio sui giornali tedeschi, visto che la Germania vanta di 140 miliardi di euro in investimenti nel “mattone” spagnolo che potrebbero anche loro volatilizzarsi. Il governo Zapatero si è affrettato a smentire la notizia e, di contro, ha annunciato che verranno resi pubblici i risultati degli “stress test” sulla solidità delle banche spagnole per rassicurare i mercati e dimostrare che il sistema finanziario è solido. Non si sa se le misure che l’esecutivo di Madrid ha già approvato – e quelle che ha messo in cantiere – basteranno a recuperare la fiducia dei mercati nella ripresa economica della Spagna, ma una cosa è certa: i sondaggi in caduta libera su Zapatero e le continue richieste di dimissioni sono la prova che gli spagnoli ormai non credono più alle sue promesse.