Zingaretti, il presidente “senza maggioranza” che cerca gloria al Nazareno
10 Marzo 2018
Ormai nel Pd post renziano sta accadendo di tutto. Dopo la discesa in campo di Carlo Calenda, uno che ha più volte giurato di non avere “interessi politici” ma che ora si ritrova ad essere uno degli uomini chiave a cui, stando ai rumors, potrebbe essere affidato il rilancio Dem (con la solenne benedizione di Gentiloni e Veltroni), arriva anche l’annuncio di Nicola Zingaretti: “Correrò per la segreteria”. E a chi gli chiede spiegazioni in merito risponde: “Abbiamo fatto l’accordo con Liberi e Uguali, avevamo con noi i sindaci, le liste civiche e, soprattutto, i giovani. E’ un modello che rilancia lo spirito dell’Ulivo. Ed è il modello che vorrei proporre a livello nazionale”. Dunque, il governatore, galvanizzato dalla riconferma alla guida della Regione Lazio, ha rotto gli indugi ed è pronto a prendersi quel che resta del Nazareno.
Sarà che, ora come ora, nel Pd si accetta tutto quello che perlomeno ha le sembianze di una “non sconfitta”, tuttavia presentare la vittoria alle regionali laziali come un trionfo figlio di un “modello da esportare” forse è un tantino esagerato. E a dirlo sono anzitutto i numeri. 32,9% contro il 31,2% di Stefano Parisi, candidato dal centrodestra all’ultimo minuto e autore di una rimonta eroica tanto da sfiorare il sorpasso. Ma non è tutto. Il computo delle liste di centrodestra ha ottenuto più voti di quelle a sostegno del governatore. Risultato: sommando anche i seggi conquistati dai 5 Stelle, il neo presidente non ha una maggioranza in Consiglio (24 a 26).
Insomma, c’è poco da cantare vittoria. Anche perché il rischio di tornare alle urne è alto, non solo nel caso in cui non si trovi una maggioranza (questa volta potrebbe non bastare Pirozzi già pronto a correre per una seconda volta in soccorso del Pd), ma anche perché, in caso di vittoria (da vedere se in assemblea o alle primarie), i due incarichi sarebbero ingombranti. Ma Zingaretti va avanti, consapevole, forse, che nello scenario apocalittico piddino, la sua figura, sia pure di scarso appeal nazionale, potrebbe essere una soluzione. E consapevole soprattutto che la poltrona di governatore del Lazio, in queste condizioni, è troppo insicura e traballante, e che la sua “vittoria” rischia di segnare la sua fine politica.