4/ Bondi: FI è un partito popolare ma ancora poco democratico
06 Settembre 2007
Era difficile “reggere” dopo la giornata di ieri. Eppure non è andata male. Il pomeriggio è iniziato con il “solo contro tutti” di Sandro Bondi, affidato alle cure di Mario Sechi. Il coordinatore si è dimostrato un diesel, come è suo stile. Ha iniziato in sordina quasi scusandosi di star parlando. Alla fine, ha detto molto più di ciò che ci si poteva attendere. Secondo Bondi Forza Italia è il solo partito veramente popolare che oggi c’è in Italia, anche se non è ancora del tutto democratico. Bondi disegna tre stadi della “transizione alla democrazia”: il radicamento territoriale; la collegialità negli organismi locali (coordinamenti regionali compresi); la direzione politica. Fa capire che il primo stadio è quasi ultimato; al secondo ci si sta lavorando. Ma che, dopo Gubbio, tutte le sue energie si concentreranno sulla realizzazione del terzo stadio.
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Non mancano le domande su MVB, come è ovvio. Ma Bondi sembra essere di un altro mondo. Dice di non aver preclusioni ma chiarisce anche che il suo obbiettivo è quello di mettere il partito nelle condizioni di camminare sulle proprie gambe e non solo su quelle di Silvio Berlusconi. Dice che Berlusconi stesso lo esorta a questo e si appella agli altri dirigenti di F.I.: chiede loro di sacrificare qualcosa dei legittimi egoismi per questo obbiettivo più grande con il quale MVB non c’entra.
Insomma: testa bassa e pedalare. E’ questa la strategia di Bondi. E c’è da giurare che Frascati è stata per lui la prova generale della relazione che leggerà oggi a Gubbio. Se c’è un versante del berlusconismo che cerca di rinnovare i fasti dell’edonismo degli anni Novanta, ce ne è un altro – che lui vuole incarnare -che guarda a quella parte del Paese che cerca dalla politica una nuova spinta ideale. Bondi giustifica le sue scelte di coordinatore “come un fatto di moralità”. Applaude i giovani quando gli denunciano le insopportabili chiusure del partito. Guarda al popolo di Loreto corso ad ascoltare Ratzinger. Se ne sente ancora indegno. E dice che F.I. potrà dirsi un grande partito solo quando sarà riuscita a vincerne il pregiudizio e a conquistarne stabilmente la fiducia.
Dopo di lui, va in onda il dibattito sui partiti con Latorre, Zanda, Cicchitto, Gasparri e Storace. Sembra si siano messi d’accordo per rincuorare il coordinatore che ha appena finito la sua performance sin troppo autocritica. Della serie “su Sandro non t’abbattere. F.I. non è poi così male”. Latorre dice che il partito di plastica è una fantasia degli invidiosi. Dice anche che F.I. è radicata sul territorio ed ha una buona classe dirigente al punto che egli, da avversario, ne è sinceramente preoccupato. Gasparri gli fa eco: “Se qualcuno tocca F.I. dovrà vedersela anche con me”. A destra tutti, in fondo, vogliono il partito unico. Tranne Cicchitto il quale saggiamente spiega che, fino a quando non ci sta anche l’Udc, Forza Italia e A.N. non possono proprio fare a Casini un regalo così grande, lasciandogli sguarnito tutto lo spazio del centro moderato. A sinistra gli astanti ritengono l’antiberlusconismo una iattura. E, ancora una volta, è Cicchitto che deve ricordare loro come nello schieramento che rappresentano sono quasi gli unici a pensarla in quel modo.
Insomma: se non fosse per i battibecchi tra Gasparri e Storace, un tempo dello stesso partito e oggi “sposati fuori casa”, sembrerebbe di stare nel migliore dei mondi possibili. Dura poco. Carlo Panella, Efraim Inbar e di nuovo Mario Sechi chiudono la serata con un dibattito sul nucleare in Iran. Basta qualche minuto per comprendere che siamo ancora cittadini di questa terra.