4/ Dovevamo essere tutti americani

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4/ Dovevamo essere tutti americani

4/ Dovevamo essere tutti americani

11 Settembre 2007

Nel suo messaggio video
di qualche giorno fa, Osama Bin Laden ha lodato i 19 attentatori dell’11
settembre, definendoli Mujaheddin, e rivendicando ancora una volta la paternità
dell’attentato di cui oggi ricorre il sesto anniversario. La matrice jihadista dell’11
settembre, il ruolo di Bin Laden e di al-Qaida nell’accaduto, insieme alla
matrice jihadista di tanti altri tragici attentati – Madrid nel 2004, Londra
nel 2005 e molti altri attacchi sventati negli ultimi anni, mesi e giorni – sono
ampiamente dimostrate da documenti, dichiarazioni e rivendicazioni. Nonostante
tutto questo, a sei anni dall’anniversario dell’11 settembre, sta fiorendo una
letteratura e un attivismo politico tesi a negare non l’evento in sé e per sé –
difficile negare che l’11 settembre sia accaduto – quanto piuttosto le
circostanze che lo circondano.

Le teorie del complotto non sono una novità. I
primi articoli ad avanzare il sospetto che l’attacco alle torri gemelle non
fosse attribuibile ad al-Qaida apparsero nelle settimane successive
all’attacco in giornali di tutto rispetto in Europa. Il 18 settembre 2001 toccò
a Marie-Josè Mondzain, su Le Monde, scrivere un articolo intitolato, ‘Perché
non mi sento americana’ che mirava a rispondere al famoso editoriale del 12
settembre precedente, firmato Jean Marie Colombani, in cui il direttore di Le
Monde proclamava, ‘oggi siamo tutti americani’. A leggerlo meglio, l’articolo
di Colombani non era proprio tutto un peana di solidarietà, ma certamente il
titolo dell’editoriale esprimeva orrore. Mondzain invece si prese la briga, non
solo di dissociarsi da quel sentimento, ma anche di esprimere scetticismo sui
veri rei dell’attentato. Non chi aveva perpetrato quei crimini – chiunque esso
fosse – ma più probabilmente il presidente americano, George W. Bush stesso,
Ariel Sharon e Vladimir Putin, ognuno per i misfatti politici a loro imputati
dall’autrice. Mondzain non fu sola, in quei giorni, a confondere causa ed
effetto e vittime e carnefici. Anche Seumas Milne, editorialista del Guardian,
si premurò il 13 settembre di accusare l’America – a macerie ancora fumanti –
di aver raccolto i frutti della sua politica, insinuando, come fece anche
Mondzain e come è poi diventato luogo comune, che Bin Laden fosse una creazione
della CIA.

Questo curioso dettaglio è un falso ed è stato ripetutamente
smascherato con dovizia di dettagli da decine di libri e articoli sulla storia
di al-Qaida – il più recente testo di Lawrence Wright, The Looming Tower,
è lettura obbligatoria in questo senso. Ma a rileggere quei primi maldestri
tentativi di sviare l’attenzione dagli orrori del crimine rigirandone la
responsabilità alle sue vittime si intuiscono le origini della progressione di
un pensiero comune a molti oggi in Occidente: che Bin Laden con le torri
gemelle c’entri poco e che dietro alla carneficina di quel limpido giorno di
settembre ci sia un complotto, che spiega tutti gli eventi successivi.

La teoria del complotto
non è una novità. Già nelle settimane successive agli attacchi internet
pullulava di accuse e fantasiose calunnie, dove i “veri” colpevoli erano i
soliti ignoti: il Mossad, Israele, la CIA, e altri onnipresenti sinistri agenti
dell’immaginario malato dei complottisti. Da internet, la teoria arrivò alla
carta stampata in poco tempo e fece irruzione sulla scena europea nel 2002,
quando il francese Thierry Meyssen pubblicò il suo libro, L’Effroyable
Imposture
, in cui metteva in dubbio la matrice islamista dell’attacco al
Pentagono e suggeriva teorie alternative che implicavano, senza dirlo
apertamente, il governo.

Da allora gli sforzi di
chi cerca di riscrivere la storia per trasformare le vittime in carnefici si
sono moltiplicati. E’ di questi giorni l’arrivo in libreria di Zero, il
libro di Giulietto Chiesa dedicato all’11 settembre, e pubblicato dalla casa editrice Piemme. Giulietto Chiesa non è un oscuro gestore di un sito dietrologico
ospitato da un server in Bielorussia, ma un parlamentare europeo eletto nelle
liste dell’Italia dei Valori e membro del gruppo socialista europeo a
Bruxelles. Il suo libro include molteplici contributi da molti autori di varia
nazionalità e da differenti discipline scientifiche. Offre 400 pagine di
‘exposé’ sull’11 settembre, quasi tutte dedite a utilizzare una zona d’ombra o
un dettaglio non chiarito per dimostrare che in realtà, dietro agli attacchi
c’è un complotto. E quando un parlamentare europeo, insieme a molti
cattedratici, scrive un libro pubblicato da una casa editrice di tutto
rispetto, promuove una simile tesi, significa che la verità è in pericolo. Né
Chiesa – il cui libro sta per uscire in forma cinematografica in Italia – è
solo a sostenere tali tesi. Il commentatore e corrispondente inglese Robert
Fisk – da decenni considerato una delle massime autorità giornalistiche sul
Medio Oriente e tradizionalmente critico di America e Israele – ha scritto di
recente sulle pagine dell’Independent di Londra, di essere scettico di quelle che definisce
‘inconsistenze narrative ufficiali’ sull’undici settembre. Non accusa nessuno
naturalmente, ma insinua, riferendosi a dettagli simili a quelli cui si
appigliano i molti autori del libro curato da Chiesa per puntare l’indice
contro la Casa Bianca.

Notava qualche settimana fa una recensione di Zero
sul Corriere che le tecniche discorsive e l’impalcatura
logica delle accuse mosse da Zero contro l’America di George W. Bush non
si discostano di molto dai costrutti e dai meccanismi selettivi della
letteratura tesa a negare l’Olocausto. Non nega l’evento in sé e per sé –
sarebbe invero difficile farlo! – ma mette in dubbio alcuni suoi aspetti
centrali – come che a colpire il Pentagono sia stato un aereo e non un missile,
perché mancano immagini video dell’accaduto. Come nel caso del negazionismo, si
cerca quindi di screditare i rapporti ufficiali, le prove esibite e i testimoni
oculari – nonostante le prove a disposizione abbondino. Si producono quindi
esperti alternativi, che forti di sedicenti qualifiche di studiosi “imparziali”
e “obbiettivi” procedono quindi a smontare questo o quel dettaglio della
storia. Se non sono stati gli aerei, per esempio, a far crollare le torri, ma
così ci è dato di credere, cosa c’è dietro tutto questo? Si produce un
ingegnere che spiega come le torri potevano crollare solo mediante esplosioni
controllate (falso) e il gioco è fatto.

Screditare prove, testimoni, documenti
e inchieste – migliaia di pagine, di fotografie, di immagini video, di
valutazioni di periti e così via insomma – in base a un appunto e un dettaglio
sapientemente manipolato aiuta a creare l’impressione di un gigantesco
depistaggio che mira a sinistri obbiettivi. Rimane dunque un quesito: perché,
se ci sono certi lati oscuri nella vicenda, per il governo il caso è chiuso? Ed
è qui che si insinua la teoria del complotto. Avendo seminato a bella posta e
in maniera non propriamente limpida il seme del dubbio sulla veridicità degli
eventi secondo quella che è sempre chiamata come ‘la versione ufficiale’, i
sedicenti esperti lasciano aperta la questione, ma sollevano solitamente un
quesito retorico: cui bono? Questa insinuazione, che dietro alle
tragedie della storia deve per forza esserci sempre un grande burattinaio, è
essenziale a ogni teoria del complotto e rivela la natura sordida e moralmente
corrotta – oltre che storicamente indifendibile – di ogni tipo di negazionismo.

I primi negazionisti dell’Olocausto non negarono la persecuzione degli ebrei,
ma si concentrarono a refutare i numeri e i metodi della macchina dello
sterminio. Il loro tentativo di sminuire l’Olocausto – fino appunto a negarlo –
serviva e serve tuttora a molti scopi: riabilitare il nazismo, fomentare nuovo
antisemitismo, e in generale offrire una teoria del complotto secondo cui
l’Olocausto sarebbe una fabbricazione mirata a nascondere e giustificare
sinistre manipolazioni politiche. Oggi, i negazionisti dell’11 settembre fanno
una simile operazione con simili obbiettivi: non mettono in dubbio che le torri
gemelle siano crollate e che ci furono migliaia di vittime, ma fabbricano una
teoria del complotto alternativa alla verità della matrice islamista –
abbondantemente rivendicata da Bin Laden – per mettere sotto accusa l’America e
l’intera lotta contro il terrorismo e continuare la loro crociata storica
contro i valori dell’occidente. Sono passati solo sei anni. Ma i tentativi di
riscrivere la storia e manipolarla allo scopo di incolpare le vittime ed
esonerare i carnefici hanno trovato alleati rispettabili.