
La mozione Segre, la libertà e lo spread tra la realtà e la sua rappresentazione

04 Novembre 2019
Posata la polvere della polemica immediata, qualche considerazione conclusiva sulla “commissione contro l’odio” si impone.
Se volessimo chiudere la querelle nello stile del gioco “specchio riflesso” che si faceva da bambini per respingere al mittente l’offensiva dei fratellini o degli amichetti, la questione sarebbe molto semplice. A chi accusa il centrodestra di pulsioni antisemite per via dell’astensione sull’ormai celebre “mozione Segre” basterebbe ricordare ad esempio il boicottaggio di Israele promosso da ministri attualmente in carica, le proiezioni di film vergogna nei circoli Arci con il patrocinio di sezioni dell’Anpi, le liaison dangereuse coltivate dalla sinistra italiana con ambienti “border line” dell’establishment palestinese, le bandiere con la stella di David bruciate nei cortei dei centri sociali tanto difesi dai podisti della “lotta all’odio”. Ancor più semplicemente, basterebbe invitare i dubbiosi a fare un esperimento: presentarsi con un vessillo di Israele a una manifestazione del centrodestra o a un corteo del 25 aprile, e sperimentare dove si corre il maggior rischio di essere presi a male parole se non peggio.
Se intendessimo invece archiviare la questione con una semplice obiezione metodologica, ci si limiterebbe a ribadire, per l’ennesima volta, il rifiuto di quella logica perversa per cui se non sei d’accordo con i contenuti di una mozione parlamentare sei antisemita, se sei per una gestione sostenibile del fenomeno migratorio sei razzista, se non leggi i libri di Greta Thunberg sei favorevole alle emissioni di gas serra, se dai credito ai manuali di biologia per cui per fare un bambino ci vogliono un maschio e una femmina sei un oscurantista, se non sei per lo Stato di polizia sei un evasore fiscale, se non ami le manette facili sei un corrotto.
E invece, pur ritenendo inoppugnabili le ragioni di metodo e di circostanza di cui sopra, non intendo sottrarmi al merito della questione.
Dico subito una ovvietà, che il livello sconfortante del nostro dibattito pubblico rischia di trasformare in una notizia quasi rivoluzionaria: in Senato alcuni giorni fa non si è votato sulla senatrice Liliana Segre, non si è tributato un applauso alla sua drammatica vicenda esistenziale, non ci si è pronunciati a favore o contro l’antisemitismo. All’esame di Palazzo Madama c’erano diverse mozioni – una della sinistra, le altre del centrodestra -, tutte finalizzate all’istituzione di una commissione d’inchiesta, ciascuna sorretta da peculiari motivazioni. Il fatto, semplicissimo, è che la mozione della sinistra, prima firmataria la senatrice Segre, conteneva alcune argomentazioni dal mio punto di vista non condivisibili.
Ho sostenuto e motivato la mia posizione forte della coerenza di una linea di condotta che mi ha visto negli anni oppormi alla legge sul reato di negazionismo, alla legge sull’omofobia e a qualsiasi norma potesse anche soltanto in lontananza comportare una censura di opinioni, per quanto abbiette queste possano essere. Nel caso della mozione Segre, come anche per la legge sul negazionismo, ritengo inoltre che inserire la Shoah in un potpourri con dentro di tutto un po’ – leggere per credere! – produca il paradossale effetto non solo di limitare la libertà affermando di combattere in suo nome, ma di annacquare la specificità storica di una persecuzione la cui “aterritorialità” la rende un unicum incomparabile anche con tragedie coeve numericamente ancor più rilevanti come furono quelle perpetrato dal regime sovietico (delle quali ovviamente per la sinistra è vietato anche solo parlare).
La mozione che il centrodestra ha legittimamente deciso di non votare, senza per questo mancare di rispetto alla storia personale della sua prima firmataria, sconta l’antico vizio della pretesa di superiorità morale della sinistra, la quale, a fronte della diagnosi trasversale di un problema, pensa di poter imporre la propria soluzione come l’unica moralmente valida e additare al pubblico ludibrio qualsiasi opinione differente. Il risultato è che in nome della “lotta all’intolleranza” si finisce per essere intolleranti con chi si prefigge lo stesso obiettivo declinandolo in maniera diversa.
Insomma, affermare che il centrodestra si sia astenuto sulla lotta all’antisemitismo significa inaugurare l’asserita lotta alle fake news con una bugia. Sostenere che abbia rifiutato di applaudire la persona di Liliana Segre è addirittura ridicolo. Certo, votare sì e fare finta di niente sarebbe stato più comodo: battimani facili, il mainstream a favore. Ma in nome della lotta all’antisemitismo, sulla quale il centrodestra non ha lezioni da prendere da nessuno, per quieto vivere si sarebbe eroso uno spazio di libertà a ciascuno di noi. In tempi di dittatura del politicamente corretto, è un lusso che non ci possiamo permettere.